google.com, pub-1908550161261587, DIRECT, f08c47fec0942fa0 Pensieri sparsi: aprile 2010

giovedì 29 aprile 2010

Il cunicolo sotterraneo dal Castello Visconteo
alla Certosa di Pavia

Dalla Provincia Pavese del 6 ottobre 2005.

La ripresa dell’interesse per la vicenda 40 anni dopo il misterioso blitz nella cascina “Galeotto” fu il Tesoro dell’Antipapa

LUCE SUL PASSAGGIO SEGRETO DEI VISCONTI
Il satellite svela tracce del percorso sotterraneo
(dal sito Liutprand.it di Alberto ARECCHI)
PAVIA. I fantasmi erano tornati un anno e mezzo fa dopo un quarantennale oblio cronistico, per farsi acchiappare. Per merito del libro di Alberto Arecchi dal titolo “Il Tesoro dell’Antipapa, nei sotterranei segreti della Certosa di Pavia”, pubblicato da Liutprand, la casa editrice dell’architetto. Il volume rievocava la romanzesca vicenda del tesoro dell’Antipapa Alessandro V (1340 1410), che sarebbe celato nel famoso presunto cunicolo segreto.
Arecchi riprendeva l’episodio raccontato sulla “Provincia pavese” del 25, 26 e 28 agosto 1956, quando quattro giovani tentarono un’incursione notturna, in una cascina che ancora oggi viene chiamata “Il Castello” a Borgarello,alla ricerca del Tesoro dell’Antipapa, nel passaggio sotterraneo. I quattro avevano concepito la mirabolante impresa in una falegnameria di Porta Calcinara a Pavia e quella notte, approfittando del fatto che tutti erano alla TV a guardare “Lascia o raddoppia”, inforcarono le biciclette e penetrarono nella cascina. Ma un contadino li fronteggiò e all'arrivo dei carabinieri tutto fu chiarito. 
La pubblicazione di una serie d’articoli sul presunto cunicolo segreto sulla “Provincia” di dicembre 2003 e gennaio 2004 ridestò 1’interesse. Numerose persone si fecero avanti per raccontare episodi o rievocare storie che sembravano cancellate. Albino Paesi, restauratore di mobili sul viale della Certosa, all’epoca quattordicenne e uno dei quattro protagonisti dello sfortunato “blitz” del 1956, lanciò un appello a riprendere le ricerche del famoso cunicolo e invitò tutti coloro che avevano frammenti di memoria e magari documenti ad uscire allo scoperto, e chiese al priore della Certosa di consentire un sopralluogo.
Intanto Arecchi spiegava la sua tesi sul sotterraneo dal Castello alla Certosa. “Il passaggio diceva doveva essere un camminamento segreto lungo circa cinque miglia, che si snodava in cinque tappe”. E lanciava a sua volta un appello al priore della Certosa e alle autorità competenti a consentire ricerche nei sotterranei dell’abbazia, per verificare se esistessero prove.
Anche la medievalista dell’Università Mariapia Andreolli univa la sua voce.
Arecchi proponeva un ipotetico tragitto del passaggio sotterraneo: “La tradizione popolare diceva narra da sempre che all'epoca dei Visconti il percorso esistesse. In tutti i castelli, in tutti i monasteri, si racconta di passaggi segreti, vie di fuga d’emergenza. Nel sistema difensivo di Pavia c’erano. Ne è stato trovato con certezza uno sotto la contrada San Michele diretto fuori Porta San Giovanni. Credibile appare l’ipotesi di un secondo percorso dal Castello al Parco Visconteo, sino alla cascina Corso e al Castello di Mirabello. Sulla base delle tradizioni orali e delle ricerche di vani sotterranei colmati o otturati, è attendibile l’ipotesi dell’esistenza anche del terzo passaggio, dal Castello alla Certosa”.
Le cinque tappe, secondo Arecchi, dovevano essere le seguenti. La prima dal Castello Visconteo a Case Nuove dei Canonici. La seconda fino a La Pantaleona / La Rizza. La terza fino alla Repentita (il luogo dove sarebbe stato tenuto prigioniero il re francese Francesco I, dopo la battaglia di Pavia del 24 febbraio 1525). La quarta fino alla torre del Maino di Borgarello, antichissimo complesso fortificato, probabilmente d’origine celtica. La quinta fino ai sotterranei della Certosa. “E’ l’unico tragitto razionalmente plausibile osservava Arecchi perché regolarmente scandito da tappe e perché evita ogni avvallamento e corso d’acqua. L’eventuale accesso dal lato sud, cioè dal Castello Visconteo, è impossibile da trovare, perché la costruzione della ferrovia e della tangenziale ha messo a soqquadro il territorio”. (s. c.)

domenica 4 aprile 2010

Libereso Guglielmi, il "giardiniere di Calvino"

Nato su una collina di Bordighera in una famiglia di anarchici tolstojani, esperantisti e vegetariani e poi, quando aveva cinque anni, si trasferirono a Sanremo dove avevano una grande campagna, che amava con una specie di amore ancestrale. Un nome o un programma? Quando nacque, il padre, che era un anarchico tolstoiano, stava imparando l'esperanto: da questa lingua prese il suo nome, che significa "assolutamente libero di pensiero, parola e azione".Classe 1925, ha iniziato la sua carriera di giardiniere-intellettuale con Mario Calvino, botanico e padre dello scrittore Italo.

 

Libereso venne notato da Mario Calvino e invitato giovanissimo a lavorare nella Stazione sperimentale che questi dirigeva a Sanremo. Negli anni cinquanta ha diretto aziende di coltivazione di piante in Meridione, ha fatto il ricercatore in farmacognosia e il capo giardiniere presso l’Università di Londra per dodici anni (anni sessanta).

Ha girato il mondo scoprendo “reti” di piante dove oggi si vorrebbero reti di computer. Oggi è pensionato ma tutt'altro che inattivo: insegna a disegnare le piante ai bambini delle elementari di Sanremo, tiene conferenze sul giardinaggio e la flora spontanea in giro per l’Italia, accudisce una piccola ma affollata terrazza-giardino sotto casa, ispira senza sosta articoli sulle riviste specializzate.

Si definisce “libero pensatore” ma l’eloquio incantatore e una sorta di mai sopita ansia divulgativa lo rivelano meglio. Libereso è allo stesso tempo figura fuori degli schemi e schema di figure, di quelle che hanno i piedi in un passato profondo ma ci proiettano verso i tempi che verranno. In questo senso ci riporta una tradizione, dà voce al “contadino eterno” di tutte le nostre campagne e di tutte le campagne: l’arguzia dell’autodidatta si mescola alla saggezza del vecchio, l’eredità libertaria è insieme agli almanacchi e ai lunari, in un continuum di tempo e natura. 

Per altro verso, Libereso appartiene pienamente alla modernità, si è fatto una solida cultura formale (botanica), ha viaggiato, studiato e abitato all’estero (la moglie è inglese), ha visto la guerra e fatto la Resistenza, è stato uno dei primissimi obiettori di coscienza totali, ha avviato aziende proprie, collabora con riviste e tv.

Nel suo mondo, i personaggi assenti sono molti.Si può partire dal padre, o dai Calvino (non solo Mario e Italo, ma anche Eva Mameli – moglie di Mario, madre di Italo – docente di botanica a Pavia, e Floriano, fratello di Italo, geologo), o dal disegnatore Antonio Rubino, o dal professor Fairbear, o da Pietro Ferrua, importante esponente dell’anarchismo e studioso delle avanguardie artistiche; sennò ancor prima, dal botanico-disegnatore Clarence Bicknell, esperantista passato da Bordighera, o dopo, dai giardini inglesi, dal famoso botanico Bowles e dalla celebre Gertrude Jekyll, pittrice e paesaggista.

Quel che invece è sempre presente, con forza, è la terra. La parola di Libereso la rende protagonista. In primo piano il paesaggio ligure (più che Calvino, viene in mente Biamonti): la Liguria delle ville – e ancora degli inglesi come Hanbury che vi si sono trapiantati –, delle fasce, dei contadini mangiatori di castagne e vegetariani per mancanza d’alternative. Uno spazio tra cielo e mare, ripiegato su se stesso ma dove si sono acclimatati lembi di Cina, di Giappone, di India, di Messico, di Brasile, di Africa.

I colorati doni in forma di piante esotiche che viaggiatori e naviganti portavano a giardinieri curiosi, ma anche i tentativi di impiantare colture commerciali da noi.

Breve storia di Certosa di Pavia


Da TORRE DEL MANGANO a CERTOSA DI PAVIA



Le prime tribù che s’insediarono nella Pianura padana furono i Liguri e gli Umbri, che si limitarono alla coltivazione delle poche zone fertili. Con l’avvento degli Etruschi, furono attuate opere di canalizzazione e di drenaggio mirate all'arginamento del fiume Po.

In epoca romana i terreni furono divisi secondo il metodo della centuriazione, in modo che ogni fondo avesse una superficie costante e regolare pari a circa cinquanta ettari. Tale suddivisione diede origine ad una rete di strade che correvano parallele a quella che ancora oggi collega Milano a Pavia; ne esiste ancora una che passa in adiacenza al muraglione della Certosa e giunge fino al cimitero di Borgarello.

Questi territori passarono poi sotto il dominio dei Goti, dei Longobardi (dei quali la città di Pavia fu capitale) e dei Franchi, senza perdere la loro forte identità agricola. Successivamente i terreni vennero anche suddivisi nei primi latifondi.

Intorno al 1100 il Comune di Borgarello, uno dei più potenti della zona, fece costruire un castello a pianta quadrata proprio nella comunità “in Burgari”, che corrisponde all'originario nucleo abitativo di Torre del Mangano. L’espressione “in Burgari” deriva probabilmente dal sostantivo “burgaria”, che significa brughiera e descrive la condizione del territorio a quell'epoca.

Il nome di Torre del Mangano trae origine quasi certamente dalla nobile famiglia del Mangano che, in epoca comunale, possedeva il castello. Tale fortezza fu venduta nel 1397 ai monaci Certosini.

Nel 1359 Gian Galeazzo 11 Visconti conquistò Pavia; egli diede inizio alla costruzione del castello e del parco annesso e, con il secondo ampliamento, fece includere anche Torre del Mangano nei terreni circondati dalle mura di recinzione. Una delle porte si trovava in corrispondenza a quella che oggi è la cascina di Porta d’Agosto.

Proprio a questo periodo risale anche la costruzione del canale Navigliaccio, tra Binasco e Pavia, e del monumento della Certosa, fondato nel 1396 e consacrato nel 1497.

La Certosa rappresentò per il territorio una ricchezza non solo dal punto di vista religioso e culturale, ma anche economico. I monaci Certosini determinarono infatti il miglioramento della produttività agricola mediante l’uso delle marcite, che consentivano di ottenere più di un taglio d’erba l’anno, e delle “conserve”, luoghi interrati e riempiti di ghiaccio dove conservare gli alimenti.

Nei secoli si susseguirono le dominazioni straniere.

Spagnoli prima, Francesi ed Austriaci poi, spadroneggiarono in questi territori fino all'unità d’Italia.

L’assetto di Torre del Mangano, dal periodo visconteo, rimase pressoché invariato fino all'ultimo dopoguerra. Era un piccolo paese: gli edifici sorgevano nelle odierne vie Case Nuove, Fratelli Cairoli, Partigiani, in Vicolo San Michele e ai lati del Viale Certosa. Le campagne circostanti davano il lavoro ad alcune famiglie, mentre coloro che non facevano i contadini erano assunti presso i Molini Certosa, la Galbani o in fonderie a Pavia.

Nel 1859 furono costruite le prime case sul viale, ma l’area adiacente al monumento rimase fortunatamente inalterata. Dietro alle mura della Certosa e vicino allo stabilimento Galbani ad est, come anche alla fine di Via Marconi ad ovest, sorgevano due fornaci che producevano mattoni.
Dal 1871 il Comune di Cascine Calderarj fu soppresso e unito a quello di Torre del Mangano, che - in seguito al Regio Decreto Legge del 31 gennaio 1929 - assunse la denominazione di Certosa di Pavia e riunì anche il Comune di Tornano e il Comune di Borgarello.


La nascita d’importanti industrie nelle città vicine, assieme alla strada statale che attraversa il paese unendo comodamente Milano a Pavia, determinarono un notevole accrescimento urbano; nel 1946 sorsero in Via Repubblica le prime villette e la Cademartori.


Nel 1958 Borgarello tornò ad essere comune autonomo e attualmente le frazioni di Certosa sono: Cascine Calderari, Samperone e Torriano.


brano tratto da:

Viaggio nella storia recente del nostro paese
Scuola primaria classe 5 dell' I.C. di Certosa di Pavia - anno scolastico 2006/07
© COMUNE DI CERTOSA DI PAVIA
Finanziato ai sensi della L. 285/98 dal Comune di Certosa di Pavia nell'ambito del Progetto “Educazione alla cittadinanza attiva e responsabile”