google.com, pub-1908550161261587, DIRECT, f08c47fec0942fa0 Pensieri sparsi: marzo 2012

venerdì 30 marzo 2012

Cultura e Coltura

Cultura è l'insieme di conoscenze che formano la personalità ed affinano le capacità di un individuo.

Coltura è la coltivazione di piante e l'allevamento di animali.

I termini "cultura" e "coltura" spesso vengono confusi, anche se oggi le definizioni sono distinte nettamente: la cultura riguarda la sfera intellettuale, la coltura si riferisce ai campi.

L’origine delle due parole ha la stessa origine etimologica: in latino cultura deriva da cultus, participio passato di còlere, cioè coltivare. Quando Cicerone parlava di “cultura animi" si riferiva al patrimonio tramandato di un sapere tradizionale, che consente all’uomo di sfuggire alla condizione barbara dei non emancipati.

Come il cibo è l'elemento basilare per il nutrimento del corpo, la cultura è fonte di nutrimento per la mente e per l'arricchimento conoscitivo. La cultura è cibo a tutti gli effetti.

Può la CULTURA produrre i propri specifici "frutti" se non viene "COLTIVATA"? Si può fare a meno del cibo per il corpo? E di quello per la mente?

Il giardino interno della Certosa di Pavia, coltivato dai monaci
La messa a reddito dei beni culturali - Il Fatto Quotidiano
Anche Giorgio Napolitano ha aderito al “manifesto per la cultura” del Sole 24 ore. E nel messaggio inviato in occasione della XX Giornata Fai di Primavera, il Capo dello Stato non solo ha sposato la linea di fondo del “manifesto” (quella, tautologica, per cui la ‘cultura fattura’), ma ne ha esplicitato e radicalizzato il nucleo più controverso. «Se vogliamo più sviluppo economico, ma anche più occupazione – ha scritto il Presidente – bisogna saper valorizzare, sfruttare fino in fondo la risorsa della cultura e del patrimonio storico-artistico».
Sfruttare fino in fondo il patrimonio storico-artistico: difficile trovare una formulazione più estrema della cosiddetta dottrina del petrolio d’Italia, o dei giacimenti culturali, nata nell’Italia craxiana degli anni ottanta del secolo scorso. Ed è anche difficile trovare un’accezione del verbo ‘sfruttare’ che, per quanto metaforica, sia compatibile con la funzione costituzionale del patrimonio (che è quella di produrre non sviluppo economico, ma cultura). Secondo il Grande dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia, sfruttare vuol dire «privare un terreno degli elementi nutritivi», «usare un giacimento minerario in modo da ricavarne il massimo profitto economico», «depredare una regione delle sue risorse naturali», «usare in modo esclusivo», «vivere alle spalle di qualcuno», «usare o abusare di qualcuno o qualcosa». Ciascuna di queste accezioni richiama alla nostra mente centinaia di aggressioni, morali e materiali, al patrimonio storico e artistico della nazione perpetrate in nome della sua messa a reddito. Ed anche l’accezione meno negativa («ricavare il massimo profitto da ciò che si ha a disposizione») è davvero poco edificante, se accostata, non so, a Michelangelo o alla Valle dei Templi.
Con questo messaggio, Napolitano ribalta dunque la dottrina quirinalizia sul patrimonio, che nel 2003 era stata messa a punto (su frequenze, quelle, perfettamente costituzionali) dal filologo classico ed economista Carlo Azeglio Ciampi: «La cultura e il patrimonio artistico devono essere gestiti bene perché siano effettivamente a disposizione di tutti, oggi e domani per tutte le generazioni. La doverosa economicità della gestione dei beni culturali, la sua efficienza, non sono l’obiettivo della promozione della cultura, ma un mezzo utile per la loro conservazione e diffusione. Lo ha detto chiaramente la Corte Costituzionale in una sentenza del 1986, quando ha indicato la “primarietà del valore estetico-culturale che non può essere subordinato ad altri valori, ivi compresi quelli economici” e anzi indica che la stessa economia si deve ispirare alla cultura, come sigillo della sua italianità»
Lo «sfruttare fino in fondo» di Napolitano converte il patrimonio in un mezzo piegato al fine del reddito, e dunque smentisce questo illuminatissimo discorso, precipitandoci in un mercatismo senza se e senza ma che appare perfettamente in linea con la politica del governo che il Capo dello Stato sta, virtualmente, guidando.
«Fino a quando gli oggetti dell’istruzione pubblica verranno considerati come gioielli, come diamanti dei quali non si gode se non per il prezzo del loro valore?». Lo scrive Antoine Quatremère de Quincy. Nel 1796.

venerdì 16 marzo 2012

Pagare per entare in Chiesa?

Da lunedì 19 marzo le visite all'interno del Duomo di Milano saranno a pagamento.

Oltre alle visite che sono già a pagamento, la novità riguarderà le comitive: dovranno sborsare 5 euro per il noleggio - obbligatorio - di una "audioguida". E ciò non basterà: sarà anche necessario prenotare la visita per entrare nella cattedrale di Milano. L’obolo sarà richiesto solo ai gruppi organizzati e alle comitive. Le visite dei singoli turisti "non organizzati" restano gratuite: avranno però una fila distinta e riservata che darà loro la possibilità di entrare senza bisogno di fare la coda.

Il Duomo è Milano. E' il simbolo più noto della città. Noi milanesi, siamo poi affezionati alla nostra "bela Madunina, che te brillet de luntan, tuta d'ora e picinina". Guardiamo in alto e la vediamo là, ferma sulla guglia più alta, a reggere il parafulmine che spesso sventola la bandiera tricolore.


 

Tra tutti i monumenti del capoluogo lombardo, il Duomo è senz’altro il più visitato: si parla di 4 milioni di turisti all’anno, circa 100mila a settimana. Già da tempo si parlava di far pagare l'ingresso in Duomo. Questo "obolo" obbligatorio è stato deciso dalla Veneranda Fabbrica del Duomo. La "fabrica del Dom", come ogni milanese sa, è la metafora dei "lavori sempre in corso" che non finiscono mai. Nel bilancio della Fabbrica sono stanziati circa 26 milioni di euro, più altri 40 per i restauri da completare entro l’Expo 2015. Attualmente sono in corso 12 interventi, tra ordinari e straordinari. Negli ultimi anni il numero dei turisti a Milano è aumentato, con la conseguenza che il pavimento si rovina più velocemente ed i marmi devono essere ripuliti e ristrutturati ogni 30 contro i 50-60 anni che erano anticamente previsti. Finanziare e garantire la continuità dei restauri è diventata una priorità.

La decisione adottata a Milano, diventata ormai definitiva, si inserisce in un campo dove molte sono le polemiche. Il pagamento dell'ingresso in Duomo sarà dovuto solo dai turisti e non dai fedeli ovviamente. Il Consiglio Permanente della C.E.I. è fermo sulla sua decisione. Cè da segnalare però che questa posizione si scontra con le famose italiche contraddizioni. E' la stessa C.E.I. che rileva - in un suo studio - come ci siano almeno 59 chiese dove - per accedere e visitarle - viene chiesto il pagamento di un biglietto. Si paga per entrare in Santa Croce e in Santa Maria Novella a Firenze . Sempre in Toscana si pagano 2 euro per entrare nella Cattedrale di Pisa. Si passa al Veneto, dove sono ben 17 le chiese di Venezia dove si paga, tra cui Santa Maria del Giglio, Santa Maria dei Frari, Santa. Maria Formosa: con 10 euro si può visitarle tutte. Poi andiamo in Romagna: per la visita della Basilica di Sant'Apollinare in Classe a Ravenna e dell'Abazzia di Pomposa a Ferrara è  la locale Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici a far pagare il biglietto d'ingresso.
Si lasciano le cose come stanno oggi - pur con tutte le eccezioni documentate - o si può far pagare un "biglietto d'ingresso" per altre chiese e complessi religiosi monumentali che hanno bisogno di costante e continua manutenzione? Pagare un ticket di ingresso per la Certosa di Pavia ad esempio?

Pagine milanesi di alcuni quotidiani che parlano del contributo per la visita del Duomo di Milano:
"la Repubblica" - 16 giugno 2011
"Corriere della Sera" - 15 marzo 2012
"il Giornale" - 15 marzo 2012

mercoledì 14 marzo 2012

Cosa sono le Soprintendenze?

Ci sono molti esperti che si impegnano a discutere del futuro della conservazione dei beni artistici e monumentali. In un lungo articolo - che riporto integralmente sotto la foto - due studiosi analizzano quello che succede in Italia, e citano la nostra Certosa. E' emblematico che questo loro articolo nasca proprio dalla provocazione di Gianni Barbacetto, sulle pagine de "il Fatto Quotidiano", dove - con tono provocatorio - lanciava un grido d'allarme, chiedendosi che ruolo potesse avere l'allora Ministro delle Finanze Tremonti (il Governo Berlusconi era ancora in auge) nella gestione della Certosa di Pavia. Barbacetto avanzava anche una proposta - neanche tanto campata per aria - di far pagare una modesta somma per l'ingresso (accade già in tante chiese in Italia), gli introiti avrebbero lo scopo di dare una mano a difendere, gestire e restaurare la Certosa.

Gerardo De Simone e Emanuele Pellegrini, non condividono l'indiscriminato sfruttamento dei beni artistici, fanno un analisi del monitoraggio della spesa del Ministero dei Beni Culturali e, supportati anche da varie riflessioni, affermano che i soldi pubblici non manchino, ma che debbano solo essere ripartiti ed investiti in modo più oculato, che devono essere diretti verso il territorio utilizzandoli - con un’adeguata ripartizione dei fondi così ritrovati - per nuove assunzioni di personale tecnico (non amministrativo), per il finanziamento dei restauri.

Spero che chi dovrà prendere le future decisioni dia loro ragione. Resta solo da vedere chi sarà a prendersi questo onere di agire in modo efficace nella gestione dei bilanci e della ripartizione delle risorse. Qualora accadesse ciò si potrebbe disporre di somme non indifferenti. Loro si auspicano solo che le Soprintendenze non cedano - testualmente - "alle facili lusinghe degli 'eventi' e delle 'grandi mostre', dirottando fondi ed energie in kermesse effimere, spesso prive di spessore scientifico, fugaci fiere di vanità personali e interessi commerciali" ma che tutte le risorse recuperate siano impegnate nella “conservazione attiva” del nostri beni culturali.

Tutti, il mondo intero, ne sarebbe riconoscente e - a loro magari non piace - anche l'economia nazionale ne trarrebbe di sicuro beneficio. Gettare alle ortiche il patrimonio artistico italiano è un vero e proprio atto criminale.


Una parola sulle Soprintendenze
di Gerardo de Simone ed Emanuele Pellegrini
In un articolo apparso qualche mese fa su “Il Fatto Quotidiano” (Certosa di Pavia allarme nero, 29 settembre 2011), Gianni Barbacetto ha denunciato la gravissima situazione in cui versa la Certosa, un monumento la cui importanza non va certo sottolineata, tra «piccole sculture con le figure in marmo spezzate e portate via come souvenir», «strutture fatiscenti», intere aree «non visitabili». 
Non vogliamo entrare nel merito specifico della conservazione della Certosa quanto piuttosto rimarcare che, nell’economia di questa documentata denuncia, in cui pur si citano i principali attori (il Demanio dello Stato, il Ministero del Tesoro e i frati), la Soprintendenza non è mai menzionata. Non già per segnalarne meriti o demeriti, ma solo quale naturale rimando all’istituzione che, sul territorio, ha la responsabilità della tutela del patrimonio culturale italiano, chiunque ne sia il proprietario (a maggior ragione se si tratta di un bene statale). Dunque quella parte dell’amministrazione statale che avrebbe il potere di intervenire per far sì che tale situazione possa essere se non corretta, almeno arginata, e comunque documentata.
Un’assenza che colpisce molto e crediamo non derivi da negligenza del giornalista. 
In effetti viene da chiedersi quale sia la percezione che si ha, negli ultimi tempi (diciamo pure nell’ultimo decennio), della Soprintendenza come organo dell’amministrazione dello Stato. Non tanto da parte del mondo della cultura, e in particolare degli addetti ai lavori (archeologi e storici dell’arte), quanto piuttosto da parte della società civile. Se si dovesse condurre un’indagine statistica, magari con interviste sul campo, probabilmente la Soprintendenza verrebbe riconosciuta nella maggioranza dei casi in quell’ufficio in cui ci si imbatte, spesso in maniera sgradevole, quando si deve ampliare una casa, chiudere un terrazzo, aprire una finestra. Non più, quindi, le famose “Belle Arti”, cioè il presidio “prefettizio” dello Stato, deputato in primis a tutelare il patrimonio artistico e paesaggistico della Nazione, ossia di tutti i cittadini, a studiarlo per migliorarne la comprensione e di conseguenza la protezione stessa, bensì un ostacolo burocratico che limita libertà personali, una specie di proterva agenzia delle entrate di cui si subisce l’azione. E dalla cui azione si cerca di preferenza, molto italianamente, di scappare.
Tale percezione si può spiegare in molti modi, ma in particolare se si considera il recentissimo scivolamento del patrimonio culturale da strumento di civiltà, di cultura e di identità a merce, oppure – il che è assai peggio – a (presunto) freno allo sviluppo (?) dell’Italia, mentre contemporaneamente non cessa di ingrassare la sciocca retorica dei “beni culturali” come petrolio d’Italia. Di fatto, negli ultimi anni, il motivo per cui le Soprintendenze hanno spesso “bucato” le prime pagine dei quotidiani risiedeva nel loro impegno nel fronteggiare i ripetuti condoni che hanno minato la tenuta del patrimonio culturale italiano (paesaggio e beni culturali) e le insidie dei decreti milleproroghe, veri e propri omnibus legislativi, entro cui sovente sono state nascoste pratiche lesive dell’integrità del patrimonio nazionale. Tutto ciò ha di necessità ridotto gli organi di tutela a essere una sorta di appendice degli uffici urbanistici comunali, spesso anzi in conflitto con questo, a considerare, ad esempio, la disinvoltura con cui gli enti locali si sono mossi – e continuano a muoversi – nella concessione di più o meno lucrosi permessi di edificazione.
Eppure le Soprintendenze hanno in buona parte conservato quella caratura scientifica che comunque l’istituzione possiede, pur con le fisiologiche discontinuità, e hanno mantenuto l’impegno nell’azione di catalogazione, che è primaria per un’adeguata tutela, ben lungi dall’essere completata e aggiornata su tutto il territorio nazionale, ma che pure ha conosciuto episodi di ottimo livello come ArtPast e CulturaItalia, a dimostrazione del bene che si può comunque fare con finanziamenti adeguati e parimenti adeguata volontà politica. Una storia infinita questa della catalogazione, che non si esaurisce nel sempre imprescindibile lavoro sul territorio, bensì oggi comprende pure l’informatizzazione dei materiali posseduti nei ricchissimi archivi, documentari e fotografici, dei singoli uffici (per averne un’idea si veda la recente, documentata pubblicazione Gli archivi fotografici delle Soprintendenze. Tutela e storia. Territori veneti e limitrofi, atti della giornata di studio, Venezia, 29 ottobre 2008, a cura di A.M Spiazzi, L. Majoli, C. Giudici, Crocetta di Montello (TV), 2010).
Converrebbe allora tentare un bilancio di questi istituti, ormai centenari e veri emblemi del sistema italiano di tutela, al contempo così avanzato e così disastrato. Capire cioè come sia mutata questa struttura dello Stato, soprattutto quali siano le innegabili, profonde differenze dalla “eroica” stagione degli anni Settanta e anche Ottanta, quando Soprintendenti di vaglia, perché storici dell’arte di primo livello, battevano a tappeto zone dimenticate d’Italia per recuperare alla conoscenza di tutti opere poco note e a rischio di dispersione o distruzione, sfornando pubblicazioni tutt’oggi imprescindibili. Interrogarsi cioè sul loro ruolo futuro; e soprattutto chiedersi quale sia la connessione con le facoltà universitarie che sarebbero i naturali bacini da cui drenare le forze necessarie al proseguimento del lavoro, cioè quelle di storia dell’arte e di beni culturali (con tutte le fluttuanti declinazioni presenti nei singoli atenei d’Italia). Giacché gli storici dell’arte, quegli stessi che quaranta o cinquanta anni fa erano cavalcasellianamente chiamati a controllare il patrimonio nascosto nelle pieghe del territorio, hanno visto interrotto, da almeno venti anni, uno degli sbocchi primi e preferenziali del proprio curriculum di studi, ossia proprio la Soprintendenza e il museo. Una connessione perfetta tra conoscenza e tutela, tra studio e protezione del patrimonio nazionale, che ha conosciuto una brusca frattura, i cui deleteri effetti si cominciano oggi a sentire con forza: mancanza di ricambio, carenza di personale, eccessiva burocratizzazione a discapito dei tecnici. Nonostante, ripetiamo una volta in più, la gretta litania dei “beni culturali petrolio d’Italia”, altamente offensiva per quelle legioni di archeologi e storici dell’arte preparati che si vedono costretti a dirottare le proprie competenze in altri settori, quando non a mortificarle del tutto. 
È innegabile che ci sia stato un depotenziamento mirato o comunque indotto delle Soprintendenze, causato certo dalle politiche forsennate (consapevoli o brutalmente ignoranti) dei governi che si sono succeduti negli ultimi venti anni, da iscrivere nella più generale cornice dell’indebolimento della via statale alla cultura. Allo stesso tempo, però, si ha come l’impressione che l’istituzione stessa abbia stentato a rinnovarsi e a trovare nuove energie, sia per rispondere a queste politiche dannose, sia per aggiornare la via italiana alla tutela con le sfide d’inizio secolo. 
Si è ripetuto e si continua a ripete fino allo stremo, autorevolmente, che il personale delle Soprintendenze è vecchio, che l’età media dei funzionari supera i cinquantacinque anni, che andrebbero inserite nuove forze negli organici, che mancano i fondi anche per le banali spese di sopravvivenza burocratica: ma poi, in concreto, a questi alti lai non è mai corrisposta un’azione concreta, se non per sporadiche manifestazioni come il convegno dei Soprintendenti alla Certosa di Padula (9-10 settembre 2011), certo importante cenno di vita e vitalità. 
Il concorso, un concorso – l’unico dopo decenni per l’assunzione di nuovo personale da inserire in pianta stabile negli organici della tutela – c’è pure stato: per le soprintendenze ai beni storico-artistici si sono banditi cinque – dicasi cinque – posti in tutto per gli storici dell’arte, e solo per alcune regioni (Piemonte, Lombardia, Veneto e Umbria). Un concorso di cui peraltro è già stato messo a nudo il ridicolo dei criteri di selezione, con domande che con la storia dell’arte non avevano niente a che vedere, andando dalle coltivazioni in Bulgaria a quiz di logica da spiaggia. Non finisce qui: mentre i vincitori sono stati chiamati nel maggio scorso, gli idonei non sanno ancora di che morte dovranno morire, cioè se saranno chiamati, come si spera, oppure no. Se ne deduce, dunque, che non c’era tutto questo bisogno di nuove assunzioni, e che tutto può tranquillamente andare avanti così. In effetti a vedere in che stato è ridotto il patrimonio culturale italiano – dalla Certosa di Pavia al Palazzo Orsini di Tagliacozzo (di cui si discute in questo numero di “Predella”) alla Reggia di Carditello – , viene forse da pensare che la situazione necessiti di una rapida inversione di rotta. 
Si stenta pertanto a capire quale sia la politica, se ce n’é una, di tutela, giacché è necessario nei beni culturali, come in qualsiasi altro settore dello Stato, contare su una programmazione di medio e lungo termine, che abbia bene evidenti gli obiettivi da perseguire. A controllare quanto è stato fatto, proprio in relazione alle Soprintendenze, si rende evidente quanto malgovernato sia questo comparto dell’amministrazione statale. Un solo esempio: è piuttosto recente l’apertura di due nuovi uffici, Brindisi-Lecce-Taranto (2004) e Lucca-Massa Carrara (2005). Al contempo tuttavia si affacciano anche le proposte di accorpare altri uffici, come le Soprintendenze ai beni architettonici e paesaggisti di Sassari e Nuoro (con Cagliari), o addirittura di sopprimerne alcuni (come la Soprintendenza ai beni storico-artistici di Trieste). 
L’idea guida non può essere quella del risparmio delle risorse, perché se così fosse evidentemente non funzionerebbe solo in certe situazioni e in altre no, sia geograficamente che per settori scientifici (beni archeologici, beni architettonici e paesaggistici). Esistono allora dati o ricerche hanno mostrato esserci minore necessità di tutela in Sardegna o in Friuli? Esistono prove che quelle Soprintendenze non funzionano e devono essere accorpate? Siamo sicuri che un’adeguata tutela dipenda dal numero degli uffici e non piuttosto dalla loro efficienza? Senza considerare come questo continuo separare e unire uffici, causi inevitabili problemi nella gestione quotidiana nel lavoro e nella gestione di uno strumento fondamentale per la Soprintendenza come l’archivio. 
Allo stesso tempo viene da chiedersi anche quali siano le responsabilità, senz’altro da individuare non per puntare l’ennesimo inutile dito, ma per capire quale parte dell’ingranaggio non funzioni, debba essere sostituito o semplicemente oliato. Per fortuna, trattandosi di amministrazione, si può fare affidamento su dati concreti, almeno dal punto di vista del personale e dei fondi impiegati. Per trovare queste responsabilità e garantire la correttezza dell’analisi, infatti, è proprio dai fatti concreti che bisogna partire, per poter derivare così un’idea complessiva e rigorosamente documentata, cioè condivisibile, non soggetta a processi interpretativi. I numeri, insomma, sono numeri. 
Il sito del Ministero dei Beni Culturali offre un buon monitoraggio della spesa, con le indicazioni delle varie spese, perfettamente leggibile anche da chi non è aduso a confrontarsi con tabelle e formule. Un chiaro passo in avanti verso quella trasparenza così necessaria al funzionamento della macchina statale, e un invito alla partecipazione alla vita della res publica. Crediamo quindi che si possa discutere sui numeri, e giudicare anche le spese effettuate, tanto più in un momento in cui la severità nell’analisi dei conti pubblici deve emergere per far fronte a periodi di crisi economica che, in Italia, hanno visto l’assoluta penalizzazione del comparto culturale e formativo (scuola e università). 
A considerare le urgenze, a partire dalla Certosa di Pavia, specialmente in questa stagione economica in bilico, non crediamo che i soldi pubblici manchino. Essi possono essere recuperati intanto all’interno del Ministero, cioè attraverso un’adeguata gestione della spesa corrente, a partire ad esempio dalla riduzione delle molte consulenze (451.000 euro lordi annui per i dieci “esperti e consulenti” del Ministro, cui si devono aggiungere “solo” i rimborsi spese – non quantificati – per il consigliere Giuliano Urbani), per riversarli invece sulla tutela attiva: assunzione di personale tecnico (e non amministrativo) per gli uffici periferici, finanziamento di restauri ecc. Poi proponendo un’adeguata ripartizione dei fondi rispetto all’intero bilancio statale. E qui tocca menzionare l’annoso problema della ripartizione delle voci di spesa del bilancio statale. La CGIL ha recentemente reso nota la curva discendente dello stato di previsione della spesa del Ministero dei Beni Culturali rispetto al totale della spesa statale: si passa dallo 0,39% del 2000 allo 0,23% del 2009, con un’ulteriore discesa prevista che arriva a toccare lo 0,19% nel 2011. Crediamo che lo Stato butti via i soldi in Ministeri di cui si stenta a capire la reale funzione, come quello per i rapporti con le regioni (sic), per l’attuazione del programma (sic), per i rapporti col parlamento (sic): invenzioni al limite del ridicolo se non fosse che in un momento di grave disagio succhiano risorse pubbliche, complicano la burocrazia, senza alcun beneficio per la società civile. 
Vedremo quindi come si comporterà il nuovo governo Monti che in parte ha accorpato e tagliato questa inutile paccottiglia, in parte l’ha mantenuta (resta il Ministero per i rapporti col parlamento, c’è quello per la coesione territoriale (che è quello per i rapporti con le regioni unito a quello sul federalismo), quello per gli affari europei, e quello per l’integrazione e la cooperazione internazionale (ma non bastava, per questi ultimi, quello degli esteri?). Perché proprio una razionalizzazione della spesa, conseguenza di un adeguato riconoscimento degli obiettivi primari dell’azione politica, potrebbe essere un vero punto di partenza e di rilancio. 
A patto che le Soprintendenze, specie quelle di punta, la smettano di cedere alle facili lusinghe degli 'eventi' e delle 'grandi mostre', dirottando fondi ed energie in kermesse effimere, spesso prive di spessore scientifico, fugaci fiere di vanità personali e interessi commerciali. 
È doveroso invece che le somme risparmiate vengano messe a frutto, investite cioè nella fondamentale missione a cui sono chiamate le Soprintendenze che non è solo di vigilanza, ma di “conservazione attiva” del patrimonio culturale, preservazione dell’identità del territorio. In una parola dell’immagine e del futuro del paese: in questo sono più che evidenti le connessioni con l’universo della ricerca e della cultura, che permettono di considerare le spese in questo settore, oltre che doverose, un vero investimento per la qualità della vita pubblica e del futuro della nazione. Meglio allora dire che con la cultura non si mangia, e gettare giù la maschera, distruggendo le radici e il futuro d’Italia, che ripararsi dietro un ridicolo slogan sul presunto petrolio, continuando invece a non fare alcunché, cioè a distruggere radici e futuro d’Italia. 
Obiettivi che tra l’altro, riguardando un settore cruciale per la vita della Repubblica italiana come il patrimonio culturale, non possono essere sottoposti a radicali mutamenti a seconda di chi sieda al governo. C’è la Costituzione a fare da guida. Tuttavia per riconoscere questi obiettivi di un’azione politica ci vuole una chiarezza di intenti e di programma. Ed è qui che si perdono i confini di un disegno politico complessivo, assolutamente necessario per proseguire nell’attività svolta sino a questo momento che ha contribuito alla conservazione del più ingente, prezioso e delicato pezzo del patrimonio italiano. Altrimenti si aprono quelle crepe entro cui sono lesti ad infilarsi agenti disgreganti, portatori di idee balzane come chiudere le Soprintendenze (manifestazioni di «uno Stato nemico dei cittadini») e far adottare i monumenti da istituzioni, fondazioni o gruppi di cittadini (come recita l’editoriale di Marco Romano sul «Corriere della Sera» del 19 novembre 2011 cui ha risposto Tomaso Montanari su «Saturno blog» il 27 dicembre successivo).
In realtà tale politica, per l’appunto così necessaria, non esiste: è una continua navigazione a vista, sia che il ministro di chiami Galan, Bondi, Rutelli, Buttiglione, Urbani. Oppure Ornaghi, tecnico o non tecnico che sia.

domenica 11 marzo 2012

Turismo sostenibile e azioni locali

Il valore del patrimonio culturale del nostro territorio è la miscela di tanti beni intangibili quali il paesaggio, la storia, la cultura e i saperi. La fase progettuale di valorizzazione dei beni culturali provinciali ha una lunga storia, con tanti convegni, laboratori e molte discussioni. Finalmente si è acquisita la consapevolezza del valore del proprio patrimonio architettonico e ambientale. Sono anche state evidenziate le potenzialità che sono la base ed il motore di nuove azioni. Questa consapevolezza fa nascere nuove responsabilità: bisogna saper mettere in pratica tutte le azioni possibili per promuovere lo sviluppo territoriale.

Qualcosa si sta muovendo in questa direzione. Il Comune di Certosa di Pavia ha deciso alcune iniziative - di cui si è letto sulla stampa locale - che faranno diventare il nostro patrimonio culturale una risorsa da vivere e da far vivere in modo sostenibile. A queste iniziative manca ora solo il parere favorevole della Provincia di Pavia. Spero che non ci siano intoppi, che l'autorizzazione arrivi presto e che venga dato il via libera ai progetti, perchè è ora di passare all'azione, l'Expo2015 non è lontano.

Sul tema "turismo sostenibile" è anche interessante leggere quanto scrive l'assessorato al Turismo della Provincia di Pavia in "CondividiAMO: paesaggi, saperi, storie, culture" in seguito alla partecipazione a questo laboratorio.

Il parcheggio

Certosa, Ztl e area pic-nic per i turisti dell’abbazia
Chiusura del parcheggio davanti al Monumento, zona a traffico limitato (Ztl) e posteggio più grande gestito (e rimesso a nuovo) direttamente dal Comune. Questa è la decisione presa dalla giunta l’altro pomeriggio per rivoluzionare la viabilità attorno al monastero. Rivoluzione che dovrebbe prendere avvio già dall’inizio del mese prossimo. Costo dell’intera operazione, circa 70 mila euro. Capitolo parcheggi. Verrà chiuso, definitivamente, quello più piccolo nel boschetto accanto all’ex ristorante “Chalet della Certosa”. «Verrà trasformato in un’area verde e attrezzata per il pic-nic – spiega il sindaco Corrado Petrini. L’unico parcheggio, quindi, resterà quello di Villanova, il più grande per intenderci». Ma l’operazione comporterà necessariamente una zona a traffico limitato nelle immediate adiacenze della Certosa. Anche, e soprattutto,per la strada che costeggia il Monumento e sbuca poi sulla provinciale. Quella, in pratica, dove è concentrata la maggior parte dei ristoranti. Ma Petrini mette subito le mani avanti, a scanso di equivoci. «Chiaramente l’accesso sarà consentito ai clienti degli esercizi pubblici, così come ai residenti» sottolinea. Tutti gli altri, però dovranno da aprile in poi mettere la macchina (e soprattutto camper) nel posteggio. Che sarà oggetto di restyling. «Prima di tutto verranno installate sbarre automatiche e un sistema di video-sorveglianza – spiega ancora il sindaco di Certosa. Verranno eseguiti anche lavori per migliorare l’area sosta. E soprattutto il parcheggio sarà poi gestito direttamente dal Comune». Fino ad oggi, infatti, il servizio era stato esternalizzato. Per le casse municipali l’introito era di 19 mila euro all’anno. Il Comune spera ora, con il nuovo sistema, di aumentare le entrate. «In realtà si tratta di un’operazione più complessa di rilancio del turismo che stiamo definendo insieme alla Provincia – aggiunge Petrini. Ad esempio l’area del parcheggio più piccolo verrà trasformata in zona pic-nic in accordo con piazza Italia, perchè la proprietà di quel terreno è della Provincia». La parte più grossa dell’investimento (40 mila euro) saranno utilizzati per i lavori del parcheggio principale, fra sbarre automatiche, telecamere, rifacimento delle toilette pubbliche. Ci saranno però due eccezioni, prima dell’entrata a regime della nuova viabilità, prevista per il mese prossimo: «La prima sarà in occasione dell’annuale raduno di CL all’abbazia. Anche per il giorno di Pasqua e Pasquetta, in caso di necessità, il posteggio più piccolo potrebbe essere riaperto momentaneamente alle auto, visto il flusso di turisti».
di Giovanni Scarpala Provincia Pavese del 9 marzo 2012

lunedì 5 marzo 2012

Il trenino della domenica

Conosco chi ha ancora vivo nelle sua memoria il ricordo del "Gamba del Legn", il tram a carbone che collegava Milano a Pavia, fermandosi - sbuffando nuvole di vapore - davanti alla chiesa di San Michele.

Mi racconta anche del conduttore che spronava il cavallo sul Viale della Certosa.

Questa carrozza portava i turisti, pressoché a passo d'uomo (anzi di cavallo), dalla fermata del tram a vapore sulla Strada Statale dei Giovi, superando la chiusa sul naviglio e percorrendo il rettilineo alberato, fino al piazzale del Monumento.

Poi, dopo questa tappa, proseguiva la propria folle corsa che, costeggiando il muro di cinta a nord, finiva con il capolinea in prossimità della stazione ferroviaria.

Così, avanti e indietro, respirando tutti gli odori delle campagne.



Sì al trenino per collegare castello e abbazia
BORGARELLO La giunta accoglie l’idea del trenino per collegare il castello Visconteo con il monumento della Certosa. Il progetto trova d’accordo la Provincia e i Comuni di Pavia, Certosa e Borgarello che insieme hanno deciso di fare rete, «puntando a realizzare un sistema turistico locale». «Abbiamo dato l’ok al passaggio sul nostro territorio – spiega il sindaco Nicola Lamberti –. Si tratta di una linea di trasporto ecocompatibile. Il progetto ha come obiettivo la promozione della nostra zona, dal punto di vista turistico e culturale». A collegare il castello Visconteo di Pavia all’abbazia, nei fine settimana, potrebbe essere il trenino Express che, partendo da Pavia raggiungerebbe l’Alzaia per poi arrivare a Certosa.
Stefania Prato
dalla Provincia Pavese del 3 marzo 2012

giovedì 1 marzo 2012

La realtà delle cose
(updated 29 febbraio 2012)

La successione cronologica delle notizie a volte fa perdere il quadro unitario d'insieme dei fatti. Gli articoli che leggiamo sono scritti da mani diverse e - senza disporre delle giuste chiavi di lettura - capita che l'interpretazione della realtà sia spesso difficoltosa.

La verità è composta di molti elementi ed è più complessa di come appare dopo la lettura dei quotidiani che spesso non va oltre alla superficie delle parole scritte. Molto spesso gli avvenimenti realmente accaduti sono diversi da come ce li siamo immaginati. Conoscere la provenienza e la paternità di quello che si legge chiarisce molti punti che possono risultare oscuri e dare adito a polemiche.

Tutto ciò, come ho già avuto modo di scrivere qualche giorno fa in questo post, è dettato dalla naturale parzialità che ognuno di noi ha. Sia ben chiaro che non voglio sindacare né sulla buona fede di alcuno né dare giudizi. Quello che mi interessa è cercare riportare le voci di chiunque e fare il quadro più completo possibile delle cose. In questo blog, non è un mistero, la cosa a cui tengo di più è dare risalto alle cose belle che ci sono qui a Certosa di Pavia e soprattutto valorizzare il suo Monumento. Mi sono sempre dichiarato appassionato amante di questi luoghi. Ho scritto molto, l'elenco è lungo, tanti miei post sono sui tesori custoditi in Certosa. Alcuni sono quelli del 18 ottobre 2009, del 4 luglio 2010, del 21 febbraio 2011 o quello tratto dal romanzo di Mino Milani che descrive la Certosa e i suoi Monaci. Altri invece sono legati a vecchi ricordi ed affetti personali.

Ma adesso torno ad esporre alcuni chiarimenti sul vero argomento di questo post: conservazione e gestione del Monumento della Certosa di Pavia.

Ognuno, si sa, tende a tirare l'acqua al proprio mulino. Sollecitato da chi mi ha posto domande sul significato di ciò che è stato scritto sulla Provincia Pavese il 22 febbraio, ho ricercato e confrontato altre posizioni e - per dare completezza, così come auspicavo nel mio precedente commento - reputo necessario ed indispensabile aggiungere un altro articolo: quello pubblicato il 9 febbraio 2012.

Questo riporta la cronaca - basata su fatti registrati dalla giornalista Stefania Prato che racconta fatti avvenuti e da lei sintetizzati - che forniscono un ulteriore e chiarificatore elemento che completa l'informazione.

Un giornalista è interlocutore che, ponendo domande e che analizzando le affermazioni che ascolta, ci permette di leggere una sintesi più imparziale dei fatti.

Nell'articolo del 22 febbraio, che peraltro è la trascrizione di una lettera inviata al quotidiano, viene indicato, giustamente, quale autore di tutto il testo un personaggio che si autodefinisce "storico dell'arte direttore del Museo della Certosa referente beni artistici Pavia". L'esame delle vicende narrate in questa lettera  raccontano quello che questa persona ha vissuto direttamente e - senza voler nulla togliere alla sua elevata competenza tecnica - descrivono la realtà da lei vissuta con autoreferenzialità non mediata da nessun interlocutore.

Niente monaci in commissione per la Certosa
Restauro del monumento, nasce la commissione tecnica. È stato deciso ieri nell'incontro sollecitato da Provincia e Comune e convocato dal demanio, proprietario della Certosa con il provveditorato interregionale per le opere pubbliche per la Lombardia e la Liguria, le soprintendenze e la Regione. Assenti invece i monaci. Della commissione faranno parte il demanio, la soprintendenza e il provveditorato. «I tecnici individueranno gli interventi prioritari – spiega il vicepresidente della Provincia Milena D’Imperio – esistono già alcuni progetti di restauro da cui si partirà. Comune e Provincia lavoreranno in sinergia». Anche il presidente della Provincia Bosone conferma che la certosa è in testa alle priorità provinciali. Resta il problema delle risorse. «Ognuno farà la sua parte – fa sapere D’Imperio -. Non si esclude la possibilità di ricorrere a sponsor privati, a cui però bisogna dare un ritorno sull’investimento in termini d’immagine». Pubblicità: come sulla Minerva, a Pavia, magari. Marcello Infurna, assessore comunale al turismo, precisa: «Nel prossimo incontro verrà definito un protocollo d’intesa. Certosa vuole decollare, ma è necessario lavorare in sinergia con i vari enti».
Stefania Prato
da "la Provincia Pavese" del 9 febbraio 2012

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RIFLESSIONI

Ovvero, cosa c'è dietro ai racconti della stampa.

Per esperienza ho imparato che bisogna fare la tara a tutte le notizie che sono date a mezzo stampa.

L'ho potuto verificare direttamente in altre situazioni.

Di frequente i giornalisti ascoltano il suono di una sola campana, senza preoccuparsi di indagare più a fondo e di svolgere il proprio lavoro con completezza.

Molte volte questo accade per semplice superficialità e senza che ci sia un intento di dichiarata parzialità.

Leggiamo e ascoltiamo le notizie senza approfondire.

"L'ho letto sul giornale", "l'ha detto il telegiornale", tanto ci basta e così i fatti diventano imprecisi e confusi. Le informazioni sono incomplete, ma chi se ne frega più della verità. Non c'è tempo di approfondire e capire.

Pazienza.

Tanti fatti sono accaduti diversamente da come ci sono raccontati.

Pazienza se chi si attribuisce il merito di tante cose non se lo meriti.

O forse no.

Certosa di Pavia - cortile e accesso alla Sala Carthusiana
La Certosa, il tavolo tecnico e le molte necessità di un monumento grandioso. 
Alcune precisazioni doverose sulla questione della Certosa che ha fatto discutere. Per prima cosa occorre dire che il tavolo tecnico di lavoro tra i vari enti esiste dal dicembre 2010, convocato dall'allora direttore del Demanio Lombardi con l'assessore Renata Crotti e le due Soprintendenze di settore e più volte ripreso fino all'ultimo del luglio 2011. Ogni ente aveva dal gennaio 2011 preso precisi impegni, dettati dalle urgenze su vari fronti. Inderogabili sin da allora la sistemazione del parcheggio esterno e la riapertura del bar chiuso da più di un anno. Noi abbiamo fatto collocare a spese nostre pannelli Mirabilia, in fondo al viale, e in altri punti strategici, sin dal dicembre 2010. Benissimo ripartire ora. Intanto la Soprintendenza che ha in carico lo splendido Museo ha incaricato - dal febbraio scorso - un collaboratore di redigere un progetto di illuminotecnica delle cappelle della chiesa, e soprattutto di revisione e messa a norma dell'impianto elettrico di tutto il monastero, cui non si poneva mano da più di vent'anni, e segnalato come urgente sin dal primo tavolo del gennaio 2011. Su questo progetto di illuminotecnica, in seguito all'approvazione della commissione, si auspica possa investire anche una banca pavese. Nel 2011, oltre agli eventi mensili nella sala Cartusiana, e oltre a un convegno internazionale sulla terracotta rinascimentale che ha richiamato studiosi e pubblico in Certosa, e ad un concerto natalizio, nello studiolo affrescato del Museo, e alla programmazione prevista per quest'anno, la Soprintendenza beni artistici si è accollata parte dell'intervento di somma urgenza di 55mila euro, insieme alla Direzione regionale per i beni culturali, per l'intervento impianto di allarmi e antincendio messo ko dal fulmine di fine marzo, pur di far fronte all'agibilità. Se non si fosse intervenuti la Certosa sarebbe chiusa dal primo aprile 2011. Si scrive questo non certo per polemica, sapendo bene come tutti gli Enti siano carenti di fondi, ma per precisare che i compiti assegnati mensilmente dal tavolo, non sono tanto stati per così dire svolti. Sin dall'anno scorso si erano evocati sponsor privati e soprattutto il ri-inoltro ad Arcus di un progetto globale su impianti, bagni interni al complesso certosino, consolidamento dei chiostri, dipinti murali della chiesa. Si era già steso da parte delle due soprintendenze un elenco di interventi urgenti sia di carattere architettonico sia sul patrimonio artistico. Per tenere aperto il Museo la SBSAE di Milano ha investito 40mila euro. Per pulizie e manutenzione Museo: 4500 euro l'anno; costi per la collaborazione di un Ufficio tecnico per il Museo: 3500 euro l'anno; oltre all'opera di volontariato di che scrive. Circa la valorizzazione scientifica di tutto il patrimonio artistico sia della Chiesa sia del museo, a luglio scorso si è avviata e già conclusa in dicembre una catalogazione digitale di tutte le opere, con le riproduzioni fotografiche a colori, nell'ambito del progetto Musei d'Italia, voluto dal Mibac e la Certosa è stata scelta tra 7 monumenti lombardi, e queste 700 schede digitali saranno consultabili on line dal prossimo aprile, nel sito dedicato alla Certosa e Museo, realizzato con il coordinamento della Direzione Regionale. Questo è un grosso contributo alla valorizzazione e divulgazione del patrimonio certosino, non più solo confinato ai libri specialistici,ma fruibile da chiunque e ovunque, ed è un'altra offerta non solo a Pavia ma alla comunità, che se pagata all'esterno del Mibac avrebbe richiesto un costo elevato. Per l'estate è prevista una Mostra sulle fotografie storiche di fine Ottocento - inizi Novecento che riproducono la Certosa, unita ai percorsi degli scrittori stranieri che descrivono ammirati quel gioiello del Rinascimento lombardo *storico dell’arte direttore del Museo della Certosa referente beni artistici Pavia.
da "La Provincia Pavese" del 22 febbraio 2012

uno dei pannelli Mirabilia