google.com, pub-1908550161261587, DIRECT, f08c47fec0942fa0 Pensieri sparsi: giugno 2011

martedì 14 giugno 2011

Centocinquanta

Il 17 febbraio del 2009 ho iniziato a scrivere su questo blog. Volevo solo mettere nero su bianco i miei pensieri. Ogni tanto mi capita di rileggere qualcosa. E, come in un diario, c'è un filo conduttore. 

Sono i piccoli passi, tanti piccoli passi, che, uno dopo l'altro, fanno belle le cose.

Come nei versi del poeta Kavafis, citati dal mio amico Roberto Dadda, è che non si deve voler affrettare il viaggio, perchè se sarà lento e pieno di insidie sarà fertile in avventure e in esperienze.

Molti si dimenticano (o peggio, molti non lo sanno) che la bellezza nella meta è dentro nelle difficoltà del cammino che percorriamo. Solo così si riesce a vivere una realtà che vale la pena di essere vissuta ancor prima che ricordata. Ho avuto la fortuna di incontrare, nel mio breve cammino della vita, tante persone che hanno arricchito di bellezza questo mio "viaggio".

Molte persone hanno questi "valori". Tra i tanti penso all'amico Giovanni Giovannetti e i suoi compagni di viaggio, in cammino a piedi da Milano a Napoli, per (ri)scoprire, ricucire ed amare una realtà che quest'anno festeggia i 150 anni di difficile, ma non impossibile, unità sotto un'unica bandiera: l'Italia.

illustrano e raccontano, giorno dopo giorno, il viaggio.

Qui di seguito altri importanti spunti di riflessione (da movimentolento)

Camminare, un gesto trasgressivo

Chi viaggia a piedi di città in città, ad esempio lungo la Via Francigena e il Cammino di Santiago, si riappropria di spazi dai quali l’uomo moderno si è ritirato da alcune decine di anni.
Oggi, in Italia, una persona che cammina sul bordo di una strada provinciale con uno zaino sulle spalle viene spesso guardata come se passeggiasse in costume da bagno nel centro di Milano.
Il senso comune ammette la presenza di donne e uomini seminudi lungo una spiaggia o in una piscina, così come ammette la presenza di camminatori vestiti da trekking lungo un sentiero di montagna o al limite in un parco. E chi esce dai confini stabiliti dalla cultura dominante compie un gesto trasgressivo, con il fascino e i rischi che ciò comporta.
Anche se il pedone secondo la legge è il primo utente della strada (nel senso che è il primo ad essere citato nell’articolo 1 del Codice della Strada), e anche se il transito pedonale è ammesso lungo la stragrande maggioranza delle strade italiane, il cartello che indica la fine di un centro urbano rappresenta per chi cammina una moderna versione delle colonne d’Ercole. Chi lo supera si espone a un rischio, poiché oltre quel segnale nessuno prevede la sua presenza.
Innanzitutto chi ha progettato la strada ha lavorato per far viaggiare veloci e sicuri i veicoli a motore, non certo per proteggere gli incauti pedoni. In secondo luogo gli automobilisti non hanno la percezione della loro velocità e della pericolosità della tonnellata di metallo che guidano. Infine il pedone stesso si crede più visibile di quanto in realtà sia, e tende a sopravvalutare la buona educazione e le capacità di guida degli automobilisti. 
Questi ultimi in genere lo vedono come un ostacolo che rallenta la loro marcia, un intruso nel loro territorio. Un territorio dal quale “l’uomo bianco” si è ritirato da alcuni decenni, lasciandolo in balia della modernità. Un territorio in cui in tempi recenti si avventurano quasi esclusivamente i migranti africani ed asiatici.
Nel loro Paese sono ancora abituati a viaggiare a piedi, e le loro strade, anche se importanti e trafficate, prevedono quasi sempre un’ampia banchina con un sentiero su cui possono camminare in sicurezza uomini ed animali. Quindi se decidono di camminare non è solo perché non hanno la possibilità economica di usare altri mezzi, ma perché la loro cultura non considera disdicevole né bizzarro percorrere qualche chilometro a piedi per raggiungere un villaggio vicino. 
Il presidio del territorio
In questo senso hanno molto da insegnarci: ritirandoci dalle “terre di mezzo”, abbiamo rinunciato a presidiare un territorio prezioso, che è stato utilizzato in modo sregolato e disordinato da chi ha speculato sulla nostra assenza.
Chiusi in scatole  lanciate a cento chilometri all’ora, vediamo le nostre periferie come un male necessario, da superare in tempi rapidi. Non ci soffermiamo sulla bruttura delle zone artigianali, invase dai capannoni prefabbricati e dai centri commerciali che costeggiano per chilometri qualunque via di comunicazione, consumando ettari di territorio e deturpando definitivamente il paesaggio. Chiusi nell’utero ovattato della nostra auto, veniamo isolati dal mondo esterno da cristalli che filtrano tutto: luce, freddo, caldo, rumori, profumi, puzze.
Vediamo una nuova circonvallazione e ne apprezziamo la scorrevolezza, senza renderci conto che magari per costruirla è stata deturpata una zona di pregio paesaggistico, e che comunque il territorio è stato tagliato da una barriera spesso insormontabile per chi cammina, poiché difficilmente viene previsto un passaggio pedonale. 
Chiusi nelle nostre auto non notiamo le discariche abusive che nascono come i funghi sui bordi delle strade asfaltate o in mezzo alle strade campestri, pavimentate per centinaia di metri con le macerie depositate da muratori irresponsabili.
Chiusi nelle nostre auto, ci ritiriamo da un territorio che non percepiamo più come bene comune. Il dogma della proprietà privata ci ha fatto dimenticare l’importanza di beni fondamentali per la collettività; l’atrofia del nostro sguardo ci impedisce di comprendere che uno scempio estetico compiuto da un privato ignorante o in malafede sul proprio terreno può avere conseguenze devastanti sul paesaggio, che oltre ad essere un bene collettivo è una delle principali risorse economiche del nostro Paese.

sabato 4 giugno 2011

Quando si parla di mobilità (2)

Non è la prima volta che mi capita di scrivere di mobilità sostenibile.

Qui su queste pagine - in diverse occasioni - l'ho già fatto.

Ho ricordato quello che rappresentò il collegamento ferroviario del "Gamba de Legn" tra Pavia e Milano.

Mi sono illuso, come tanti miei altri colleghi pendolari, quando fu fatta una proposta per un nuovo ed innovativo collegamento interrurbano, ma fu subito prontamente smentita.

Spero di non ricadere nella delusione di non vedere realizzate le ennesime promesse fatte per nuovi collegamenti ferroviari interurbani tra Pavia e Milano.

Accantonando questi aspetti spiacevoli, mi fa piacere constatare che c'è ancora chi crede ancora al promesso bike-sharing nel Parco Visconteo e che si impegna a farlo facendo piccoli grandi passi uno dietro l'altro. La "rete" di piste ciclabili a Certosa di Pavia" sta crescendo e si sta sviluppando.

la ciclabile di Via Montale a Certosa di Pavia
L'unica cosa che posso fare adesso è sottolineare le piacevolezze che sono riservate a chi va in bicicletta sperando di incontrare sempre più persone con cui condividere il cammino.

mercoledì 1 giugno 2011

Ne vale la pena (Armando Spataro)

Lunedì sera Armando Spataro ha descritto episodi che non ho mai dimenticato. Anch'io ho una certa età. Milano degli anni '70 era la mia vita di adolescente. Il racconto fatto sembra provenire da un'altra dimensione. Da un'epoca lontana, per molti, nel tempo e nello spazio. Il suo racconto è denso di aneddoti e particolari, non si ascoltano le fredde cronache giornalistiche di Brigate Rosse, di magistrati uccisi, di terrorismo internazionale. Il suo racconto è lucido e vivo, è pieno di particolari che danno spessore a queste pagine di storia vissuta in prima persona.

Negli anni '70 ero adolescente a Milano. Piazza Po. Parrocchia del Gesù Buon Pastore (G.B.P. per gl'intimi). Gruppo ASCI Milano XIX Martin Luter King, squadriglia Aquile. Ero scout. Gli amici erano la cosa più importante e c'erano giornate in cui non ci si poteva incontrare perché non ci si poteva muovere liberamente. I genitori erano assillanti. Dove vai? Con chi sei? Chi vedi? Non c'erano telefoni cellulari e le notizie non circolavano con la velocità di oggi. Anche i genitori meno ansiosi si preoccupavano di quello che si sentiva dire dal passaparola e dalle radio, dalle quali capitava spesso di ascoltare la cronaca di morti ammazzati. Erano appena nate le prime radio private in FM, con bassi costi di impianto e gestione. Le radio private, che all'epoca erano quasi illegali perché senza vere e proprie licenze, erano quello che oggi si può paragonare ad internet. Le radio private erano il nuovo mondo. Erano l'ultima frontiera della comunicazione. Potevi telefonare e andare in onda senza "filtro". A Radio Milano Centrale e Radio Milano Libera si poteva ascoltare la musica che non avevi mai sentito alla radio pubblica. A Radio Stramilano potevi chiacchierare anche di notte e chiedere la tua musica preferita. Andavo agli studi di Radio A, la radio della diocesi, dove lavorava un amico scout. Le radio libere facevano anche informazione. Molte facevano anche propaganda politica. Radio Popolare a sinistra, Radio University a destra.

A volte mi è capitato di trovarmi in situazioni che oggi sono impensabili.

Il ricordo assomiglia ad un sogno. E tutto ciò che accade lascia il segno. 

Per andare e tornare da scuola prendevo i mezzi pubblici. Un sabato mattina c'era una manifestazione in centro. Capitava spesso in quegli anni. Quella mattina non circolavano i tram e si torna a casa a piedi. Non c'era traffico e camminavo sempre di buon passo; ero scout, ci ero abituato. Come al solito cercavo di percorrere la strada più breve e veloce. Passai, come al solito, da Via De Amicis. Come al solito ascoltavo con attenzione i rumori lontani. Sentivo, in lontananza, i rumori di una manifestazione. A tutto ci si riesce ad adattare e abituare. Poi, col tempo, ti rendi conto che non si trattava di cose proprio così "normali".

Tornato a casa, come al solito, accesi la radio e cercai di capire, sintonizzandomi sulle varie stazioni, cosa fosse accaduto. Non c'erano tante possibilità di avere notizie se non ascoltare le radio libere.

Era il 14 maggio del 1977 e solo alla sera si ebbero le notizie ufficiali dalla RAI che confermavano quello che avevo già sentito nel pomeriggio. Dopo circa mezz'ora da dove ero passato quella mattina, proprio lì, in Via De Amicis, il poliziotto Custrà era andato incontro alla morte. Quel corteo non doveva passare di lì.

Quel poliziotto non aveva nessun motivo per morire così. Nessuno può morire così.

Ma tutto si sedimenta dentro e quello che resta è la ferma consapevolezza è che ricordare queste cose ne vale, veramente, la pena.

La serata è stata moderata dall'avv. Luca Milani, dottorando di Procedura Penale presso
l'Università di Pavia e allievo del compianto giurista e professore Vittorio Grevi.
Incontro con il procuratore Armando Spataro
Il gruppo scout AGESCI Pavia 4, in collaborazione con la comunità Casa del Giovane, ha organizzato, nel Salone del terzo Millennio in via Lomonaco 43, un incontro con Armando Spataro, procuratore della Repubblica aggiunto del tribunale di Milano.
La serata sarà l'occasione, oltre che per presentare il libro "Ne valeva la pena", scritto dal magistrato, di parlare di costituzione, diritti e giustizia. Si toccheranno vari temi, dal caso Tobagi, alle Brigate Rosse, alla 'ndrangheta al Nord, ripercorrendo gli ultimi trent'anni di storia giudiziaria italiana. Il libro di Spataro ha come spina dorsale l'inchiesta sul caso Abu Omar, l'imam egiziano che venne sequestrato a Milano il 17 febbraio del 2003 dai servizi segreti americani in accordo con esponenti dei servizi italiani. Abu Omar fu poi trasferito al Cairo e lì sottoposto a torture per estorcergli informazioni: come il Parlamento Europeo e il Consiglio d'Europa hanno dichiarato, le indagini compiute in Italia lo hanno reso il caso meglio documentato di abusi compiuti in nome della lotta al terrorismo. La vicenda Abu Omar - con molti retroscena svelati in queste pagine - è una delle tante inchieste svolte da Armando Spataro in 34 anni di attività professionale, dalle indagini sulle Brigate Rosse e Prima Linea a quelle sulla 'ndrangheta trapiantata in Lombardia, per finire con quelle sul terrorismo internazionale. Armando Spataro racconta il suo impegno e quello di tanti altri colleghi a difesa della Costituzione, ripercorre ragioni e contenuti delle leggi ad personam. Una storia popolata di ricordi dolorosi e di facce ambigue, ma anche di persone amate e di esempi di coerenza, fino al sacrificio della vita.