google.com, pub-1908550161261587, DIRECT, f08c47fec0942fa0 Pensieri sparsi: luglio 2010

venerdì 30 luglio 2010

Pavia terra di pipistrelli


Un pipistrello della specie "vespertilio smarginato"
Scoperta la più grande colonia d'Europa - Oltre duemila esemplari annidati in una vecchia chiesa - Gli esperti: «Mangiano zanzare, un bene per l'ambiente»

PAVIA
C’è ancora qualcuno disposto a credere che il pipistrello sia un animale diabolico e portatore di segnali funesti? Se così fosse, ben difficilmente 2.000 esemplari di questa specie avrebbero trovato casa in una piccola e quieta chiesa di campagna della Lombardia. La scoperta – considerata eccezionale dal punto di vista naturalistico – è stata fatta alcuni giorni fa a Zelata, minuscola frazione del comune di Bereguardo in provincia di Pavia, che fa parte della zona protetta del Parco del Ticino.
LA PIU' NUMEROSA
La colonia di pipistrelli è considerata la più numerosa tra quelle conosciute fino a oggi in Italia e probabilmente una delle più grandi d’Europa. La nutrita presenza di questi volatili notturni alla Zelata era stata notata dagli abitanti della zona già da qualche tempo ma la scoperta vera e propria l’hanno fatta alcuni muratori che nei giorni scorsi hanno iniziato alcuni lavori di restauri nella chiesina: gli animali ricoprivano un’intera parete di un’intercapedine nella parte posteriore dell’edificio. Stop immediato ai lavori e segnalazione agli esperti del Parco del Ticino che hanno preso subito le misure alla “città dei pipistrelli”: gli inquilini della chiesa sono in stragrande maggioranza esemplari femmine che in questo periodo stanno allattando i piccoli; i pipistrelli insediatisi alla Zelata sono della specie «vespertilio smarginato», la più comune tra quelle presenti in Italia e diffuse in tutta la penisola fino a un’altitudine di 1800 metri; raggiungono un’apertura alare di circa 25 – 30 centimetri. Il “vespertilio” è considerato un animale di grande rilevanza ambientale e sottoposto a protezione da parte di una legge dell’Unione Europea.
AMMAZZA ZANZARE
«Questo pipistrello – fa notare Dario Furlanetto, direttore del Parco del Ticino nonché biologo – è uno straordinario indicatore della qualità dell’ambiente. Non avrebbe mai potuto proliferare in numero così eccezionale se solo fosse stato minacciato dall’inquinamento dell’aria o da altri pericoli. Un esemplare arriva a mangiare ogni giorno l’equivalente del 50% del suo peso in zanzare e altri insetti. E’ dunque di grande aiuto all’ambiente e ben lontano dall’immagine medievale che accompagna questo mammifero». Secondo gli esperti la colonia è cresciuta fino ai 2.000 esemplari nell’arco di qualche anno: al baby boom dei pipistrelli (la cui popolazione è circa venti volte quella degli umani residenti a Zelata) non è probabilmente estraneo il fatto che nelle campagne di Bereguardo ha sede una delle più grandi aziende agricole biodinamiche d’Italia che non fa uso di insetticidi e pesticidi.

Claudio Del Frate - Corriere della Sera del 29 luglio 2010
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mercoledì 28 luglio 2010

News dal territorio - aggiornamento del 28 luglio 2010

Grazie al contributo di Gianluigi Vecchi (Legambiente Pavia)

Dalla Provincia Pavese www.laprovinciapavese.it
Grande confusione sull'autostrada Broni-Mortara; ricorsi e controricorsi tra le società che vogliono costruirla.  Ma non dimentichiamo che ci sono poi almeno 4 altri ricorsi al TAR contro l'autostrada di agricoltori , comitati e associazioni tra cui quello di Legambiente 


Il Tar ha dato ragione alla Sabrom e la Sis si rivolge al Consiglio di Stato
Autostrada, ricorso-bis
Gli spagnoli: «Fermate tutto». Si decide il 31 agosto

PAVIA. Gli spagnoli ricorrono al Consiglio di Stato, così l'iter per la realizzazione della nuova autostrada potrebbe restare bloccato per altri due anni. Il colpo di scena è arrivato dopo la decisione assunta dal Tar, nel maggio scorso, di rigettare il ricorso presentato dalla Sis, gruppo spagnolo che chiedeva di fermare l'iter dopo essere stato escluso da Infrastrutture Lombarde (Società regionale per le grandi opere) dalla gara per la progettazione, realizzazione e gestione dell'autostrada da 1 miliardo e 800 milioni di euro. L'appalto era stato assegnato alla Sabrom, società di cui è presidente Carlo Alberto Belloni, composta dalla Impregilo del Gruppo Gavio e dalla Milano-Serravalle che gestisce, oltre all'omonimo tratto autostradale, anche le tangenziali milanesi.
 Il ricorso presentato dalla Sis chiede la sospensiva dell'aggiudicazione fatta dalla regione Lombardia. Nel frattempo la Regione ha approvato gli atti messi in essere da Infrastrutture Lombarde. Il ricorso dovrà essere discusso il 31 agosto prossimo: in quel caso si saprà se il giudica amministrativo entrerà nel merito oppure concederà la sospensiva.
 Ora quindi sul progetto dell'autostrada stanno agendo due forze contrapposte: da un lato l'approvazione della giunta va nella direzione di un'accellerazione dei tempi, dall'altro c'è il ricorso, che si muove nella direzione opposta. La Sabrom, intanto, sta con il fiato sospeso perchè se il 31 agosto sarà accolta la sospensiva, l'iter si bloccherà di nuovo per due anni.
 «Dopo l'assegnazione di Infrastrutture e la ratifica della giunta sembrava che si potesse procedere celermente - commentano alla Sabrom - invece si blocca tutto ancora una volta».
 L'obiettivo degli aggiudicatari era quello di far partire i cantieri nel 2012 per inaugurare l'autostrada nel 2015.
 La Broni-Pavia-Mortara, dunque, costerà quasi due miliardi, sarà lunga 65 chilometri e consentirà di allacciare la viabilità lombarda a quella piemontese nell'area di Novara-Vercelli. Il passaggio in giunta per approvare la convenzione con la quale Infrastrutture Lombarde affida i lavori di realizzazione della nuova autostrada alla Sabrom, si è presentata come cosa indispensabile dopo che il Tar ha rigettato il ricorso dei concorrenti.
 Il gruppo Sis era stato escluso a favore della Sabrom perchè, secondo Infrastrutture Lombarde, non aveva inserito nel piano economico-finanziario, necessario per partecipare alla gara, i costi del personale. Sino a ieri Infrastrutture Lombarde guardava al futuro con ottimismo, ma oggi il clima è mutato: il ricorso al Consiglio di Stato potrebbe cambiare del tutto le carte in tavola.
Aree commerciali, un'altra città
Gli insediamenti tra via Piacenza e il Colussi su un'area dieci volte l'Iper
Secondo l'Ascom questo progetto di espansione venne adottato in applicazione di leggi regionali

VOGHERA. Immaginate la superficie dell'Iper Montebello moltiplicata per dieci. Distribuitela lungo la strada che collega il ponte sullo Staffora di via Piacenza al bivio Colussi. Avrete così un'idea dell'area commerciale che sta per essere realizzata ad est di Voghera. Una "colonizzazione" che è già iniziata con i primi insediamenti, grandi capannoni prefabbricati che è possibile vedere sul lato sinistro della via Emilia, viaggiando in direzione di Casteggio.
 Qualche numero.
 A fornire una veduta d'insieme è il consigliere comunale del Partito democratico, Sergio Valassi Fasanotti: «Attualmente sono in esecuzione piani di lottizzazione commerciale per circa 60.000 metri quadrati di Slp, ossia superficie lorda pavimentabile. Si tratta di insediamenti che o sono già stati costruiti, oppure sono in fase di realizzazione. A questa superficie, vanno sommati altri 100.000 metri quadrati circa, che però potranno essere realizzati con un intervento diretto, cioè senza la necessità di passare attraverso il consiglio comunale. Infine vi sono oltre 130.000 metri quadrati di aree d trasformazione commerciale, o Atc. Il totale sfiora i 300.000 metri quadrati, quando la superficie di vendita dell'Iper di Montebello non arriva a 30.000 metri quadrati. Questo per parlare delle ultime varianti del Piano regolatore. Nelle bozze del futuro Piano di governo del territorio (Pgt), a fronte di 431.439 metri quadrati di superficie commerciale già costruita su tutto il territorio comunale, si parla di 115.570 metri quadrati da consolidare, ossia da costruire, e di 448.886 metri quadrati da trasformare». «Credo - conclude Valassi - che queste cifre siano frutto di previsioni sbagliate, fatte cinque o sei anni fa, quando si pensava che il commercio fosse il reddito del futuro. La realtà è che da un lato rischiamo di trovarci con edifici abbandonati, dall'altro, senza solide basi produttive, non vi sarà reddito da spendere nel commercio».
 E alcuni nomi.
 Tornando alla fascia di terreno compresa tra la via Emilia e il raccordo tra le tangenziali di Voghera e Casteggio, iniziano ad arrivare i nomi delle prime aziende. Tra quanti si sono già insediati, ad esempio, figurano il market "Oriente", che vende articoli vari ed è già operativo. In corso di realizzazione vi sono un grandissimo capannone che ha già l'insegna "Tutto per la casa" e, all'altezza dello svincolo per la tangenziale di Voghera, un punto vendita "Decathlon". Ma al protocollo del Comune sono arrivate richieste anche da altre società. In particolare da "Sidi Srl", una immobiliare che avrebbe sedi a Milano, Bari e Siracusa, da "Olb Style", un'altra società immobiliare con sede in provincia di Piacenza, dalla ditta "Fratelli Della Fiore", che a Pavia si occupa di sanitari e articoli per il bagno, dall'azienda "It.Pc.Ii" con sede in galleria Passarella a Milano e da "Franzosi cave e calcestruzzi", impresa edile di Tortona. Le richieste, insomma, non mancano. Ma cosa pensano le associazioni dei commercianti di questo boom di insediamenti?
 Il parere di Ascom.
 Umberto Baggini, presidente di Ascom Voghera, esprime un'opinione a metà tra il contrariato e il fatalista: «Questo è un progetto attuato dall'amministrazione comunale precedente; a quantro mi hanno detto è stata la Regione a imporre ai Comuni un piano del genere. Certo, 300.000 metri quadrati sono troppi, ma di fronte a una scelta politica la voce dei commercianti di Voghera conta ben poco. Posso dire che se la scelta è stata politica, i commercianti si ricordino dei politici. Noi, già ai tempi, ci siamo battuti per fare in modo che questo piano non venisse adottato. A questo punto gli insediamenti non potranno che farsi concorrenza tra loro. Ciascuno non può aprire superfici di più di 2.500 metri, quindi arriveranno società come Decathlon. Sono comunque convinto che i commercianti del centro, se agevolati dall'amministrazione comunale, potranno mantenere i propri clienti. Anche noi stiamo cercando di fare delle proposte».
 Quello di Confesercenti.
 Romeo Iurilli, dirigente pavese di Confesercenti, esprime netta contrarietà al progetto: «Noi siamo fondamentalmente contrari a questa impostazione sul commercio. In primo luogo per la quantità di metri che è inverosimile; tra l'altro collocati in zone della città che non sono ancora urbanizzate. E' una scelta del tutto sbagliata e vi faremo una battaglia contro, anche se non sappiamo ancora cosa farà la nuova amministrazione comunale di Voghera. In secondo luogo, siamo contrari perchè nelle norme che avevamo visto a suo tempo non era stata cancellata la possibilità di insediamenti della grande distribuzione, non solo nell'area verso il Colussi, ma anche verso Casei Gerola».
 «Si tratta - conclude Iurilli - di scelte sciagurate: se si va a leggere uno studio voluto dall'amministrazione provinciale, infatti, si nota come la zona più satura di commercio è proprio la via Emilia. Tutto questo avviene mentre in collina stanno chiudendo i negozi. Mi auguro che il sindaco Barbieri ci convochi e ci si metta a discutere. Ma al momento, più che un progetto di carattere commerciale, mi sembra un'operazione immobiliare».


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martedì 27 luglio 2010

LA MAFIA INVISIBILE - Criminalità organizzata al Nord (2)

Convegno organizzato dall’Associazione Saveria Antiochia Omicron
(Milano, Palazzo Marino, 9-10 novembre 2007)



Infiltrazioni e utilizzo del sistema economico: la situazione

RELAZIONE della Dott.ssa Laura Barbaini


PREMESSA

Come dimostrato nei dibattimenti celebrati davanti alla AG di Milano fin dalla metà degli anni ’90, la criminalità organizzata in particolare calabrese ha realizzato una strategia operativa per la quale, pur in assenza di eclatanti manifestazioni della forza intimidatrice, si è avvalsa della sua capacità di incutere timore soprattutto ( ma non solo ) nei confronti degli ambienti criminali ai quali è ben nota la sua pericolosità, accreditata anche dal suo inserimento nella potente cosca di Africo per ottenerne il “rispetto”e la omertà.E’ infatti risultato accertato che i gruppi che costituiscono articolazione autonoma della cosca di Africo hanno svolto per anni un’intensa, complessa, rischiosa attività illecita ( soprattutto importazione e commercializzazione di ingenti quantitativi di diversi tipi di stupefacente ) con contemporaneo riciclaggio degli altrettanto ingenti proventi illeciti conseguiti, al riparo da reazioni ambientali e controlli delle Forze dell’Ordine, o da azioni di disturbo dei gruppi criminali concorrenti, infiltrandosi e mimetizzandosi nell’ambiente socio economico della zona di insediamento attraverso condotte ed investimenti apparentemente leciti, con l’utilizzo di attività dislocate nel centro di Milano e in particolare nella zona che si estende dall’Ortomercato di Milano fino a piazza Affari, utilizzate anche per incontri organizzativi (oltre che per il soggiorno di latitanti, per l’occultamento di denaro e droga ed armi), nonché avvalendosi della rete protettiva rappresentata dai numerosi canali informativi e dia supporti operativi acquisiti anche all’interno delle Forze dell’Ordine . Tale modus operandi integra una forma di controllo ambientale che è stata correttamente definita nelle sentenze già passate in giudicato “selettiva” e strettamente funzionale alla conduzione del programma criminoso in un’area geografica diversa per cultura, mentalità, abitudini rispetto a quella di origine del metodo mafioso, ma estremamente pericolosa nella sua occulta ed incontrollabile pervasività.L’attività associativa risulta infatti realizzata dai gruppi collegati della cosca di Africo avvalendosi della forza intimidatrice soprattutto nei confronti dei gruppi o soggetti in grado di limitare ed ostacolare gli obiettivi programmati, secondo un criterio non solo “economico”, ma anche strategico in relazione al contesto sociale nel quale il sodalizio ha inteso radicarsi.La attuata infiltrazione ambientale anonima, mimetica, scevra da atteggiamenti che possono destare allarme sociale, come quella realizzata dalle articolazioni autonome ma collegate della cosca di Africo con lo spregiudicato abbandono di comportamenti tradizionalmente “mafiosi”per assumere quelli rassicuranti di lavoratori dipendenti o gestori di apparentemente lecite ed avviate attività imprenditoriali, risulta aver consentito un radicamento ambientale ideale per lo svolgimento indisturbato per anni di illecite attività, come quelle accertate nei dibattimenti davanti alla AG di Milano.In tal modo la potenzialità intimidatoria connessa al vincolo associativo risulta essere stata efficacemente utilizzata non solo all’interno dei gruppi per assicurarne la compattezza, ma anche all’esterno per prevenire interferenze sgradite di gruppi concorrenti per imporre loro il predominio della attività criminosa nella zona occupata, per ottenere ed imporre utili collaborazioni nel settore della grande o microcriminalità, nonché per occupare settori economici, alcuni dei quali connotati da difficoltà finanziarie.


LE IMPRESE MAFIOSE NEL NORD ITALIA

La criminalità organizzata, ed in particolare la ‘ndrangheta utilizza al Nord, e più specificatamente in Lombardia il sistema economico attraverso imprese che, in ragione dei legami dell’imprenditore e dei dirigenti con i gruppi mafiosi dominanti nei luoghi di origine dell’imprenditore, nonché in ragione della provenienza dei capitali utilizzati e delle modalità operative possono definirsi mafiose. I settori produttivi ed economici in genere nell’ambito dei quali opera la criminalità organizzata attraverso le imprese in questione, sono prevalentemente i seguenti: - settore dell’ edilizia sia nel centro cittadino, sia nell’hinterland di Milano con riguardo alla zona di Monza-Cologno Monzese-Peschiera Borromeo-Cernusco sul Naviglio e con riguardo alla zona Sud-Est di Milano, settore che deve intendersi in senso lato fino a ricomprendere la attività di intermediazione posta in essere dalle agenzie immobiliari,strettamente connessa a quella edilizia; - i settori delle attività specificatamente connesse a quello edilizio con particolare riguardo alle imprese di movimento terra, scavi e trasporto dei materiali di scavo; - settore delle forniture di prodotti alimentari con particolare riguardo ai prodotti ortofrutticoli, settore che è in via di sviluppo con la crescita delle connesse iniziative di apertura ex novo oppure subingresso in apertura di centri commerciali di medio-grande distribuzione, iniziative che si delineano anche in zone collocate nelle province di Lodi, Pavia, e Voghera e in genere della Lombardia; - settore economico dei servizi con specifico riguardo al centro di Milano, con riferimento alla ristorazione in senso lato (bar-self service-pasticcerie e ristoranti); - settore delle agenzie dei servizi di sicurezza in genere in Milano, Como, Bergamo ecc. e con riguardo a Milano agenzie per la sicurezza nei locali pubblici e discoteche in particolare. - settore dei servizi di logistica, ovvero smistamento, facchinaggio, movimentazione di merci, nonché servizi di pulizie, settore nel quale risultano operare nell’attualità, come vedremo a breve, le società cooperative facenti capo alle cosche dominanti della ‘ndrangheta insediate da tempo presso l’Ortomercato di Milano. Gli assetti giuridici delle imprese operanti nei suddetti settori, prevalentemente adottati dalla criminalità organizzata, sono: - le società a responsabilità limitata, nelle quali l’assetto proprietario è rappresentato da soci a loro volta costituiti da società partecipate da società estere e la carica di amministratore è ricoperta da prestanomi i cui nominativi ovviamente sono ricorrenti. Frequentemente le società a responsabilità limitata titolari di partecipazioni societarie in altre società direttamente operative nei settori produttivi mantengono il capitale sociale sotto la soglia di quella delle Spa per evitare l’obbligo della nomina del collegio sindacale. - le società cooperative, a loro volta costituite spesso in consorzi presenti con uffici collocati anche nelle strutture dell’Ortomercato di Milano, con contratti di locazione stipulati da un unico referente fiduciario del gruppo con la controparte So.ge.mi, società per azioni a partecipazione comunale, titolare di un diritto di superficie sull’ortomercato di Via Lombroso concesso dal Comune di Milano.L’organizzazione delle cooperative in questione, utilizzate dalla ‘ndrangheta, rivela alcune peculiarità: molte di queste società hanno una durata limitata nel tempo (mediamente dai 3 ai 4 anni e in alcuni casi anche meno), periodo dopo il quale le cooperative vengono liquidate o falliscono, o vengono trasferite presso altre sedi, tra le quali anche Palermo.. Alcune persone fisiche ricoprono le cariche in più società cooperative posizionandosi strategicamente nelle più importanti società, ed in particolare nei consorzi delle cooperative Fin da ora, anticipando quanto verrà meglio esposto più avanti, si segnala che la vita particolarmente breve di queste cooperative è peraltro caratterizzata da volumi d’affari in forte crescita e speculare forte calo nel tempo. Molte di queste cooperative sono caratterizzate da intensi rapporti “intercompany”, nel senso che si emettono vicendevolmente fatture per importi anche di rilievo con il fine di garantire un bilancio destinato ad apparire, in caso di verifica, in sostanziale pareggio, come se il bilancio fosse artificiosamente costruito allo scopo.Più specificatamente le cooperative in questione evidenziano risultati di bassissimo livello rispetto al volume d’affari.


VANTAGGI DIFFERENZIALI INDEBITI CONNESSI ALL’UTILIZZO DEL SISTEMA ECONOMICO DA PARTE DEI GRUPPI CRIMINALI DELLA ’NDRANGHETA

I vantaggi differenziali indebiti di cui godono le cosiddette imprese mafiose sono i seguenti: - creazione di una situazione di sostanziale monopolio in determinate zone,come è emerso per le le imprese operanti nel settore della edilizia, nel settore dei dei servizi di sicurezza; nella distribuzione del servizio della ristorazione e in parte nei servizi di logistica. - contiguità protratta per anni e in alcuni Comuni per decenni delle amministrazioni comunali in sede di conferimento di lavori per costruzione e manutenzione strade, cimiteri e altri lavori pubblici con il ricorso alla trattativa privata attraverso la procedura di urgenza anche nei casi nei quali per legge non ne sussistono i presupposti, e con gare di appalto nelle quali le offerte al ribasso sono conosciute prima della apertura delle relative buste sigillate e con partecipazione sempre limitata alle stesse ditte che, in ipotesi di vittoria della gara, sono comunque vincolate ad effettuare i lavori subappaltando alle imprese mafiose oppure acquisendo i macchinari necessari dalle imprese mafiose, pena il pagamento delle penali alle amministrazioni comunali. - l’autofinanziamento con capitali di provenienza illecita è una caratteristica costante delle società che gestiscono le suddette attività, posto che le società in argomento spesso non producono reddito né distribuiscono utili, e si alimentano con il ricorso alla voce finanziamento soci, ponendo in essere movimentazioni contabili in realtà solo apparenti con valori di cassa molto alti per giustificare i crediti dei soci verso la società che spesso si avvale di conti bancari dichiarati in contabilità e conti paralleli non dichiarati sui quali confluisce il denaro di provenienza illecita.



RICOSTRUZIONE STORICA SULLA BASE DELLE RISULTANZE DIBATTIMENTALI DEI MECCANISMI FINANZIARI, EMERSI DALLA ANALISI DELLE MODALITA’ OPERATIVE DELLE IMPRESE UTILIZZATE DALLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA OPERANTI in particolare in Milano. COSTANTE MANTENIMENTO DI UNA APPOSTAZIONE PRIVILEGIATA PRESSO L’ORTOMERCATO DI MILANO

Questi meccanismi, destinati a ripetersi e a perfezionarsi dall’inizio degli anni ’90 fino all’attualità, sono emersi dall’analisi delle modalità operative delle imprese operanti in Lombardia facenti capo a gruppi di criminalità organizzata calabrese, gruppi che dai dibattimenti già celebrati sono risultati fra di loro collegati e costituenti articolazioni autonome e distinte, ma riconducibili ad un’ unica e sola cosca madre (Morabito-Bruzzaniti-Palamara di Africo). I vertici di questa cosca, anche attraverso un sistema oculato di alleanze con le altre famiglie della ‘ndrangheta, hanno scelto di insediarsi in Lombardia individuando nella zona Sud-Est di Milano, che si estende dall’Ortomercato di Milano fino a piazza Affari-galleria Vittorio Emanuele, l’area di controllo ambientale I rappresentanti dei gruppi in questione, mentre realizzano sofisticate operazioni finanziarie nei vari settori, secondo una costante comune ai soggetti di spicco collegati al gruppo di origine, si legano ad operatori economici attivi all’interno dell’Ortomercato in grado di garantire l’accesso e l’utilizzo delle relative strutture, pressochè immuni da qualsiasi controllo, per la custodia di armi e droga ( cfr. procedimenti già conclusi degli anni ’90 ) e soprattutto per gli incontri che in tal modo indisturbati pongono in essere sia per la conclusione delle trattative illecite sia per la predisposizione degli strumenti finanziari e societari indispensabili al gruppo per l’investimento e la pulitura del denaro di provenienza illecita. I dibattimenti celebrati dall’A.G. di Milano, sfociati in sentenze passate in giudicato, dimostrano che tale meccanismo è stato posto in essere senza soluzione di continuità, ininterrottamente dalla fine degli anni ‘80 fino al 2007, attraverso vicende che si svolgono sistematicamente all’interno e intorno all’Ortomercato di Milano, adeguandosi le modalità operative dei vari gruppi alla trasformazioni economico sociali che si realizzano all’interno dell’Ortomercato: si intende dire che si passa dal controllo dei vari stand collocati all’interno (per esempio la Sical Fruit e poi Primizie di Italia cui fanno capo esponenti della cosca di Africo e contestualmente esponenti di Cosa Nostra palermitana ) i cui titolari o procuratori sono a loro volta legati a società dell’Ortomercato di Vittoria, alla gestione delle cooperative che operano con uffici collocati strategicamente all’ingresso dell’Ortomerato, nel palazzo So.ge.mi ed idonei a conservare e valorizzare tutti i vantaggi dell’operatività dell’Ortomercato (impossibilità di sottoposizione a controlli sistematici, titolarità dei pass di accesso ai vari stand collocati all’interno dell’ Ortomercato e alla zona Sogemi all’ingresso dell’Ortomercato,) e contestualmente idonei a garantire attraverso i contratti di appalto, contatti con primarie società multinazionali nel settore della prestazione dei servizi e di logistica (facchinaggi ed altro).A mero titolo esemplificativo gli esponenti della ‘ndrangheta già condannati per 416 bis c.p. a Milano in concorso con i vertici della cosca, a cavallo della metà degli anni 90 si incontrano pressochè quotidianamente all’Ortomercato, contestualmente alla stipulazione di contratti di fornitura di prodotti ortofrutticoli con i principali carceri della Lombardia. Più recentemente nuovi esponenti della stessa cosca della ‘ndrangheta continuano a far capo a locali del palazzo Sogemi dell’Ortomercato mentre i fiduciari, titolari delle cooperative aventi uffici in via Lombroso 54 contestualmente provvedono alla stipulazione di contratti di appalti di servizi con società multinazionali. Più analiticamente, nel tentativo di una concreta ricostruzione storica, può sostenersi che gruppi costituenti articolazioni autonome della cosca dominante di Africo hanno operato nei termini seguenti dall’inizio degli anni ’90 fino all’attualità: Periodo 1989- 1994: - attraverso prestanomi, presso l’Ortomercato di Milano, (collocato nella zona sud-est di Milano,tradizionalmente dominata dalla cosca) hanno di fatto gestito società, ora confiscate con sentenza definitiva, titolari di stand per il commercio e l’importazione soprattutto dalla Slovenia di prodotti ortofrutticoli, in stretto collegamento con imprese analoghe operanti presso l’Ortomercato di Vittoria. - contestualmente il gruppo ha mirato a realizzare il controllo delle imprese operanti nel settore dei servizi di sicurezza, che offrono e garantiscono tali servizi a tutti i supermercati e gioiellerie collocate nella zona fra Como, Varese e Milano (cfr. processo Talia Leo ed altri davanti alla VII Sezione Tribunale di Milano, con sentenze passate in giudicato).Con riguardo a tale periodo, in ordine a collegamenti fra organizzazioni criminali e settori dell’imprenditoria e agli intrecci delle attività economiche,deve evidenziarsi come nei primi procedimenti celebrati sia emerso come la struttura criminale abbia tentato di impossessarsi di un gruppo economico di grande rilievo, gruppo al quale fanno capo le varie società tessili e di vernici del bresciano, attraverso una fiduciaria della banca San Paolo di Brescia presso la quale il gruppo economico era in sofferenza per vari miliardi: la fiduciaria avrebbe dovuto operare una operazione di salvataggio del gruppo legale con un finanziamento garantito da grossi capitali della cosca presso banche estere.In tal modo il capitale della cosca si espande nel Nord Italia attraverso il salvataggio di gruppi di società in sofferenza e le modalità dell’investimento impediscono la ricostruzione della provenienza del capitale. In sede di considerazioni di sintesi può affermarsi che il rilevamento di grossi gruppi imprenditoriali in difficoltà economica avviene da parte della ‘ndrangheta attraverso una precisa strategia di acquisizione mediante l’opera di soggetti che in virtù della attività svolta possono contare su numerose e qualificate entrature nel mondo affaristico-finanaziario-bancario.Il meccanismo attraverso il quale si attua la strategia di acquisizione è il seguente: la società in difficoltà economica viene contattata da professionisti del settore finanziario i quali propongono molteplici possibilità di riassetto dell’impresa attraverso la concessione immediata di liquidità o comunque attraverso ipotesi di finanziamento,che si concretizzano con la apertura di linee di credito a nome della società, ottenute a fronte di specifiche garanzie costituite da titoli esteri quali gma, promissory notes, bank garantee, nonché obbligazioni di importanti compagnie,fideiussioni avallate e confermate da istituti di credito e da società finanziarie riconducibili alla stessa organizzazione criminale.A questo punto la società che precedentemente si trovava in difficoltà assume una posizione di dipendenza rispetto al gruppo che ne ha permesso il risanamento e l’associazione criminale subentra di fatto all’originario imprenditore esercitando il controllo del gruppo.


Periodo 1994-1998

E’ emerso che sulla base di una preventiva intesa con esponenti di Cosa Nostra, e sulla base di una preliminare e indispensabile alleanza fra gruppi della ‘ndrangheta, e in particolare fra esponenti del gruppo Papalia-Barbaro e esponenti del gruppo Morabito, nella zona di Monza-Cologno Monzese-Vimodrone e Peschiera Borromeo-Cernusco sul Naviglio e nella zona Nord di Milano da Loreto-Via Padova-Viale Monza, si sono insediate imprese mafiose operanti nel settore della edilizia-movimento terra-scavi (cfr. procedimento penale nei confronti di Morabito Giuseppe del 1934, Bruzzaniti Natale, Talia Bruno ed altri, in ordine al delitto ex artt.416 bis c.p. e 74 dpr 309/90 davanti alla VIII Sezione). A solo titolo di esempio può affermarsi che tutta la zona compresa fra Cologno Monzese, Vimodrone, Bernareggio è stata costruita dallo stesso gruppo di imprese edilizie facenti capo agli stessi personaggi, esponenti o comunque legati alla cosca, che hanno in tal modo investito e riciclato il denaro proveniente dalle attività illecite del gruppo. In particolare il meccanismo, accertato attraverso la ricostruzione dei rapporti tra le varie società operanti nel settore della edilizia privata e attraverso la ricostruzione dei flussi dei relativi rapporti bancari, è il seguente:1) le società il cui capitale sociale è intestato a prestanomi incensurati, ed apparentemente privi di collegamenti con gli imprenditori più strettamente legati al gruppo mafioso, acquistano terreni di aree già a destinazione agricola o industriale, ottenendo poi dai Comuni le relative licenze edilizie, e facendo fronte agli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria.2) a questo punto la società titolare della proprietà del terreno, e già munita di licenza, affida la costruzione delle unità immobiliari attraverso contratti di appalto a società nel cui capitale sociale compaiono imprenditori o famigliari di imprenditori, legati in modo più diretto ai gruppi mafiosi. 3) le società costruttrici, per lo più, concludono un accordo con la società committente sulla base del quale il pagamento del contratto di appalto deve avvenire non con titoli o contanti bensì con una quota ( di solito il 50%) di unità immobiliari destinate ad essere costruite, che diventeranno di proprietà della società appaltante, e provvedono a loro volta a vendere la restante quota di immobili ad altra società immobiliare, ancora una volta facente capo allo stesso gruppo, società che in tal modo investe ulteriormente tramutando il denaro provento del traffico in unità immobiliari.La società acquirente dei terreni e la società acquirente degli immobili si alimentano con continui ingenti finanziamenti dei soci, e sui conti della società appaltatrice-costruttrice confluiscono i capitali della società acquirente, che nel frattempo rivende a terzi privati, ottenendo in tal modo un ulteriore flusso di denaro pulito.(Tale meccanismo è stato documentalmente dimostrato nel processo Morabito Giuseppe -Bruzzaniti. Natale ed altri davanti alla VIII Sezione Tribunale di Milano).


Periodo 1996-1999

E’ emersa la progressiva espansione della cosca di Africo nel centro economico-finanziario di Milano ed in particolare nell’area compresa fra piazza del Duomo e Tribunale di Milano per l’acquisizione e il controllo del settore della ristorazione attraverso una rete di prestanomi, il cui subingresso nelle licenze è stato reso possibile anche dalla accertata omissione di controlli da parte degli amministratori pubblici, nonché nel settore dei garage e delle concessionarie-auto, con realizzazione di modalità di riciclaggio attraverso i finanziamenti concessi dalle società di leasing. In particolare è emerso come nell’acquisizione del settore della ristorazione il gruppo non abbia perseguito uno scopo imprenditoriale, ma abbia agito per soddisfare l’esigenza di procedere a frequenti movimentazioni di denaro contante, sicuramente non proveniente dalle aziende di proprietà delle società acquisite, secondo la documentazione contabile delle società stesse, documentazione che rivela conti bancari paralleli e non registrati in contabilità.Nelle società del settore in esame i movimenti finanziari sono effettuati quasi esclusivamente per cassa e per importi unitari superiori a Euro 12.000. (cfr. procedimento nei confronti di Mollica Domenico, Morabito Leo, Morabito Rocco e altri sempre della cosca di Giuseppe Morabito di Africo davanti alla I Sezione Tribunale di Milano per il reato di cui all’art.416 bis c.p. e 74 dpr 309/90 conclusosi con sentenza di condanna divenuta definitiva il 4.11.2000 anche sull’art. 416 bis c.p. in Milano).In ordine ai collegamenti fra organizzazioni criminali e settori dell’imprenditoria e agli intrecci delle attività economiche,deve evidenziarsi, secondo le risultanze dei dibattimenti in questione, come il gruppo criminale mafioso operi l’espansione nel settore economico cercando di acquisire le quote di minoranza di società di gruppi aventi un nome tradizionalmente serio ed economicamente forte sul mercato, e poi di assicurarsi la gestione delle attività, anche se soltanto con l’acquisizione delle quote di minoranza, condizionando così alle proprie scelte economiche il gruppo sia pur titolare delle quote di maggioranza.


Periodo 2000-2007

- Gli esponenti di rilievo della ‘ndrangheta compaiono in modo ricorrente nella compagine societaria di società cooperative, spesso costituite in consorzi, con uffici collocati in via Lombroso 54 (cosiddetto palazzo So.ge.mi all’ingresso dell’Ortomercato) con contratti di locazione stipulati da un unico soggetto, fiduciario degli esponenti della Cosca, che opera per tutte le cooperative, anche per quelle per le quali non ricopre alcuna carica sociale né incarico direttivo. Si intende dire che ancora in epoca recente e pressoché attuale, gli uomini dei gruppi della ‘ndrangheta, ancora facenti capo alla stessa cosca di Africo, pongono in essere una scelta, avente un significato univoco in termini di efficienza criminale, di avvalersi di strutture logistiche collocate all’interno dell’Ortomercato, indispensabili anche per il compimento di attività illecite (uffici che continuano ad essere punto di riferimento della attività della associazione, telefoni, parcheggi, pass per accedere all’area Sogemi e per accedere all’area Ortomercato all’interno del quale non lavoro nessuno dei clienti delle cooperative).Contestualmente scelgono provocatoriamente di chiedere (e ottenere) l’autorizzazione di esercitare l’attività di locali notturni nel cuore dell’Ortomercato di Milano, sotto gli uffici della Sogemi Come già evidenziato, le modalità operative di tali cooperative riconducibili a esponenti di spicco della ‘ndrangheta, presentano peculiarità ricorrenti:- alcuni soggetti di spicco, fiduciari dei vertici della ‘ndrangheta ricoprono le cariche in più società cooperative, posizionandosi strategicamente nelle cooperative consorziate. -la durata particolarmente breve di queste cooperative è peraltro caratterizzata da volumi d’affari in forte crescita e speculare forte calo nel tempo. - molte di queste cooperative sono caratterizzate da intensi rapporti “intercompany”, nel senso che si emettono vicendevolmente fatture per importi anche di rilievo con il fine di garantire un bilancio destinato ad apparire, in caso di verifica, in sostanziale pareggio. Il sistema operativo delle cooperative, con particolare riguardo a quelle fisicamente collocate presso gli uffici del palazzo Affari della Sogemi, è caratterizzato dalle seguenti modalità:- il consorzio o le principali cooperative vincono l’appalto dei servizi di logistica con primarie società,di solito multinazionali.Al riguardo si sottolinea che il consorzio o le singole consorziate concludono con società per azioni in alcuni casi a partecipazione pubblica per servizi di smistamento, facchinaggio, movimentazione merce e pulizie, ma nella sostanza è stato verificato che le cooperative appaltatrici si occupano di svolgere anche importanti operazioni da cui dipendono il pagamento di dazi doganali, con attività che si svolge nell’ambito di una funzione di pubblico interesse. In conclusione le società appaltatrici stipulano contratti di appalto con società facenti parti di gruppi a partecipazione pubblica, in tal modo “bypassando” le norme che disciplinano l’assegnazione di appalti da parte di enti pubblici e che impongono il ricorso alla gara pubblica. - le società appaltatrici quindi girano l’appalto a una serie numerosa di cooperative subappaltatrici nei cui consigli di amministrazione soventi appaiono cittadini extra-comunitari. Una volta effettuati i lavori le cooperative subappaltatrici emettono fatture nei confronti dell’ appaltatore che a sua volta fattura la primaria società appaltante. Quest’ultima pertanto paga l’appaltatore che a sua volta paga le cooperative. Fin da ora si sottolinea che, come è stato già evidenziato per le società a responsabilità limitata, anche le società cooperative ricorrono sistematicamente a funzionari di banca compiacenti. Infatti la banca, che gestisce i rapporti con il fiduciario del gruppo, interviene anticipando alle cooperative le fatture pro solvendo, peraltro senza notificare all’appaltatore la cessione del credito, e quindi di fatto favorendo l’appaltatore che rimane obbligato soltanto nei confronti della cooperativa subappaltatrice e non nei confronti della banca. Tanto è vero che frequentemente si verifica il mancato accredito da parte dei Consorzi o da parte delle società consorziate appaltatrici dei corrispettivi delle fatture anticipate dalla banca, con conseguente sofferenza o incaglio della posizione (sofferenza o incaglio che il funzionario di banca non si preoccupa di far rientrare, perché sa che comunque le garanzie ci sono).


"LA SITUAZIONE” CON RIGUARDO AL RICICLAGGIO

Le tecniche di riciclaggio utilizzate dalle imprese mafiose nell’ultimo periodo (2000-2007) sono contraddistinte da metodologie più sofisticate rispetto a quelle più semplici ed elementari caratterizzanti le modalità di riciclaggio dei gruppi criminali di Cosa Nostra e ‘ndrangheta operanti nel periodo dalla fin degli anni ’80 fino alla metà degli anni ’90 .La fenomenologia di riciclaggio emersa dai procedimenti aventi ad oggetto l’attività associativa criminale dei gruppi fino alla metà degli anni ’90 caratterizza tutta una serie di operazioni che si realizzano con capitali assolutamente reali, costituiti da flussi ingenti di denaro che vengono immessi nel circuito bancario e vengono in tal modo ripuliti: a questa tecnica di riciclaggio corrisponde una precisa fenomenologia di comportamento dei funzionari operanti negli istituti di credito: il funzionario, che di solito ricopre incarichi direttivi di agenzie medio-piccole, sfrutta al massimo tali enormi flussi di denaro reale che confluisce sulla banca, se ne avvale per alzare il budget dell’agenzia, e pertanto agevola al massimo tali operazioni, prestandosi a registrazioni a nominativi inesistenti, all’uso artificioso del conto transitorio della banca per appoggiare sul tale conto somme ingenti,che poi devono confluire su altre banche o essere trasformate in contanti, si presta all’alterazione del registro unico cartaceo ). Dai più recenti procedimenti nei confronti di esponenti della ‘ndrangheta è emersa invece la figura del funzionario infedele, che, pur di favorire il gruppo mafioso, causa perdite alla banca: in tal caso vi è una collusione diretta fra la cosca e il gruppo dirigente della banca,che si espone a perdite rilevanti, con affidamenti rischiosi e rinnovati nonostante la mancanza di garanzie e i solleciti per il passaggio a sofferenza che pervengono alla banca all’esito di ispezioni della banca di Italia.Tale fenomenologia,che caratterizza soprattutto banche, quali le ex casse rurali, attualmente istituti di credito cooperativo, si è manifestata con riguardo ad una cassa rurale del lodigiano che ha concesso affidamenti a imprenditori in contatto con ‘ndrangheta per cifre rilevanti consentendo sistematicamente l’esecuzione di operazioni eccedenti il plafond concesso dalla banca,determinando per la banca un rischio patrimoniale notevole.In conclusione in questo caso può affermarsi che è emersa la enorme capacità di soggetti mafiosi di determinare la vita di istituti bancari ancorchè di medio-piccole dimensioni attraverso il coinvolgimento di funzionari infedeli. Dai recenti procedimenti concernenti la cosca di Africo è emersa una ulteriore fenomenologia di riciclaggio, coinvolgente gli istituti di credito: in particolare è emerso dalla ricostruzione delle operazioni bancarie presso vari Istituti di Credito di Milano che le principali società dei vertici della cosca erano affidate per migliaia di centinaia di euro e che gli affidamenti erano sistematicamente “in sofferenza”.Attraverso le risultanze in particolare del procedimento più recente nei confronti dei soggetti gravitanti all’Ortomercato può affermarsi che anche nelle cooperative presenti o comunque aventi uffici collocati in via Lombroso 54 dell’Ortomercato di Milano si riscontrano le modalità operative bancarie tipiche delle società utilizzate dai gruppi della cosca dominante di Africo della ‘ ndrangheta nei vari settori produttivi e di servizi dalla metà degli anni ’90. In particolare sono emersi i seguenti dati documentalmente provati:- il referente della banca è un solo soggetto, fiduciario dei vertici della cosca, che opera quale dominus di tutte le società cooperative, sebbene abbia cariche sociali solo in alcune delle società in questione;- le società cooperative godono di finanziamenti bancari con scoperto di conto corrente o con affidamenti, che spesso non risultano garantiti o comunque sono garantiti da fideiussioni prive di consistenza, in quanto il garante non risulta titolare di alcun bene espropriabile.- si intende dire, in modo più specifico, che il funzionario di banca, nell’ambito di un rapporto connotato perlomeno da connivenza con il gruppo criminale, non provvede a raccogliere la documentazione contabile delle società, omette di eseguire le visure e i necessari controlli sulle garanzie e ancora una volta la posizione delle società risulta spesso incagliata, nonostante la sostanziale contestuale espansione degli investimenti. - peraltro il dominus delle società utilizza società, sostanzialmente prive di garanzie, al solo scopo di far transitare i finanziamenti della banca alle società che acquisiscono attività, finanziamenti che non entrano in contabilità e vengono appoggiati ancora una volta nel conto finanziamento soci. In tal modo si spiegano, almeno in parte, i mezzi finanziari destinati agli investimenti, giustificando le operazioni di investimento con finanziamenti che solo formalmente sono provenienti da società del gruppo, ma di fatto sono anticipate dalla banca che li concedono a persone giuridiche, che a loro volta li bonificano alle società impegnate in acquisizione di attività.Peraltro le acquisizioni avvengono con più consistenti mezzi di finanziamento, rappresentati da dati extracontabili. - Inoltre deve affermarsi che l’affidamento è scoperto, o meglio, è “in sofferenza”soltanto apparentemente,in quanto la banca contestualmente si garantisce altrove, presso altre banche, attraverso depositi di titoli, o, sia pure in misura minore, con grandi investimenti immobiliari. In altre parole la banca si cautela con garanzie non palesi, ma in modo occulto, con un meccanismo che presuppone un accordo non più soltanto con il singolo funzionario, ma fra organo mafioso e gruppo dirigente della banca.-la situazione di sofferenza presso le banche è sicuramente provocata e non rispondente alla situazione economica reale in quanto si pone in antitesi con la contestuale politica di espansione attuata dalle società del gruppo mafioso, e la predetta discrasia costituisce un indice sicuro di una gestione delle attività di tipo extra-contabile e con denaro liquido (tali dati sono contenuti ormai nella sentenza passata in giudicato nei confronti di Mollica Domenico ed altri e si sono ripresentati puntualmente nella analisi ancora in corso con riguardo ai rapporti con le banche del gruppo dominante all’Ortomercato).Questa metodologia,che si attua con l’appoggio non più soltanto del singolo funzionario, ma del vertice dirigente della banca, rappresenta un ulteriore segno della capacità del gruppo mafioso di infiltrarsi negli istituti di credito per perseguire i propri fini. In tal caso, il riciclaggio, nel senso della sostituzione del denaro di provenienza illecita, viene realizzato nella fase nella quale viene restituito all’Istituto di credito il finanziamento, restituzione che avviene con fondi extracontabili, di provenienza illecita o comunque di non nota provenienza, che in tal modo vengono immessi nel circuito bancario (sotto forma di pagamento di rate di mutuo, di rientro nello scoperto di conto corrente ecc.). Peraltro vale la pena di sottolineare che una conferma di tale ricostruzione viene anche da un dato emergente dalle controversie civilistiche, dalle quali risulta una sorta di abdicazione da parte dell’Istituto bancario al corretto esercizio del credito, laddove la banca non appare operare per sorreggere attività economiche, con le dovute necessarie garanzie, non esercita la propria tipica funzione, o comunque risulta aver gestito non correttamente le fideiussioni omnibus. In realtà l’istituto di credito non rinuncia affatto alla garanzia, ma può fondatamente affermarsi che in alcuni casi gestisce il credito favorendo gruppi mafiosi e garantendosi in modo diverso ed occulto.

In conclusione, gli esponenti della cosca Morabito-Palamara-Bruzzaniti hanno rafforzato la loro presenza in Lombardia mantenendo le loro collocazioni storiche all’Ortomercato e ricorrendo a tal fine a soggetti ex sindacalisti all’interno dell’Ortomercato, entrando nelle cooperative di servizi dei soggetti che da tempo operano e interloquiscono con le istituzioni, e collocandosi in modo stabile negli uffici del cosiddetto Palazzo Sogemi per gestire rapporti con società esterne all’Ortomercato (spesso multinazionali). Hanno rafforzato le loro alleanze con altri gruppi criminali, ricorrendo alla collaborazione anche per la gestione delle attività economiche ad esponenti di altre cosche della Locride, da sempre alleate con i Morabito. Hanno consolidato le tecniche operative con le banche milanesi, riproponendo la stessa metodologia operativa finanziaria, già delineata e dimostrata dal processo Mollica-Morabito Rocco (per il quale è stata riconosciuta dalla Cassazione la sussistenza della associazione a Milano ex at. 416 bis c.p.).

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LA MAFIA INVISIBILE - Criminalità organizzata al Nord (1)

Convegno organizzato dall’Associazione Saveria Antiochia Omicron
(Milano, Palazzo Marino, 9-10 novembre 2007)

Controllo del territorio e potenza economica

INTRODUZIONE del Prof. Carlo Smuraglia - Università Statale degli Studi di Milano.



1. Ho ritenuto necessaria, prima di passare alle relazioni vere e proprie, una “introduzione” con la finalità di accennare almeno sommariamente all’evoluzione storica della presenza della criminalità organizzata, e in particolare della mafia, a Milano, nonché delle reazioni, di volta in volta, delle istituzioni, della stampa, e della società in generale. Questo servirà, oltretutto, a spiegare perché e in che senso sia giusto parlare di mafia “invisibile”, perfino quando l’espressione può apparire clamorosamente paradossale.

Sulla invisibilità della mafia (come sulla sua imbattibilità) ci sono pregiudizi e luoghi comuni. Ci si attesta su queste formule e spesso non ci si rende conto di quanto siano astruse.

In alcuni momenti e in alcune zone, anche in quelle tradizionali, la mafia ha interesse a rendersi invisibile, quando decide che è meglio dedicarsi agli affari piuttosto che commettere omicidi. A maggior ragione questo può avvenire in zone non tradizionali, nelle quali è più opportuno lavorare in silenzio.

Ci sono altri casi, invece, in cui la mafia risulta ben visibile - che lo voglia o meno – e tuttavia questa visibilità non viene percepita da tutti; e ciò per ragioni sulle quali è opportuno e doveroso riflettere.

Basti pensare a ciò che è avvenuto negli anni a Milano e in altre località del nord. Per quanto questi fenomeni non abbiano mai riscosso l’attenzione che la stampa ha dedicato alle vicende di Tangentopoli, tuttavia i giornali sono stati costretti a parlare almeno dei processi più significativi e delle indagini più importanti, con particolare e specifico riferimento alle organizzazioni di tipo paramilitare, radicatesi in diverse provincie del nord, anche per effetto di alcuni clamorosi errori compiuti dagli organi centrali dello Stato, con l’assegnazione al confino di noti personaggi mafiosi, proprio in località assai vicine fra loro e densamente popolate. Di questo radicamento si sentono ancora gli effetti in località balzate più volte all’attenzione della cronaca, particolarmente nell’area a sud di Milano, in Comuni come Trezzano, Buccinasco, Corsico, Rozzano, Pieve Emanuele. E’ paradossale parlare di invisibilità a proposito di questi insediamenti e delle citate attività sul territorio, quando è certo che vi furono scontri di potere, guerre fra gruppi contrapposti, omicidi di sicuro stampo mafioso e quando di tutto questo dovettero occuparsi organi istituzionali come la Commissione Parlamentare Antimafia, i Comuni, la Provincia di Milano, oltre che – come è noto – i magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, fortemente impegnati in questa dura battaglia e certamente non ignoti ai mezzi di comunicazione di massa.

Si è detto che nel tempo fra le varie organizzazioni di criminalità organizzata si è pervenuti ad una sorta di convivenza, quando non addirittura ad una spartizione di compiti. Ma a questo risultato, che oggettivamente era destinato a favorire l’invisibilità, si pervenne dopo scontri e tentativi di predominio e di prevaricazione sicuramente non indolori.

La presenza della mafia riconducibile a “Cosa Nostra”, della ‘Ndrangheta calabrese, della Sacra Corona Unita, in contemporanea, in varie zone del nord e in particolare nel milanese e in Lombardia, non poteva passare sotto silenzio, specialmente nel periodo, per così dire, più competitivo cui si è accennato.

Ma ci furono anche episodi, momenti e vicende che avrebbero dovuto essere più significativi per tutti coloro che avessero voluto davvero sconfiggere e superare i tradizionali pregiudizi.

Basta ricordare (e parlo di fatti anche remoti) le varie vicende dell’Ortomercato di Milano, sempre alla ribalta per questioni collegate alla criminalità comune ed a quella organizzata; a quelle dell’Autoparco, in cui risultarono coinvolti anche soggetti appartenenti alle istituzioni, al configurarsi di alcune zone periferiche di Milano come aree sottratte ad ogni controllo e dove spadroneggiavano bande ricollegabili a questa o quella forma di criminalità organizzata, ai traffici di stupefacenti, nei quali la lotta per il predominio appariva particolarmente accentuata, ai sequestri di persona, alle rapine, alle estorsioni, ai traffici di armi e così via; oppure alla trasformazione delle tradizionali tipologie dell’usura in forme organizzate e dotate di tutti gli strumenti abitualmente utilizzati dalle varie mafie.

Negli anni Settanta ci fu un sequestro di persona divenuto famoso perchè, purtroppo, fu pagato il riscatto e tuttavia morì la giovane sequestrata (Cristina Mazzotti), che rappresentò un segnale molto importante delle nuove organizzazioni e delle nuove presenze. Le indagini e il processo, svoltosi in parte a Novara per competenza territoriale e in parte a Lugano per esservi coinvolto un cittadino svizzero, rivelarono che l’organizzazione del sequestro proveniva dalla Calabria (ovviamente su segnalazione di qualche basista) in collegamento con delinquenti (spesso ex contrabbandieri) del nord in cerca di riqualificazione e di un salto di qualità; questo collegamento con la ‘Ndrangheta e la criminalità del nord avrebbe dovuto allarmare, perchè si trattava di uno dei più clamorosi passi di avvicinamento della criminalità organizzata calabrese verso la conquista delle zone più ricche del nord ed anche perchè la saldatura tra organizzazioni criminali mafiose e criminalità comune costituisce sempre un grave segnale di pericolo. E tuttavia, quel segnale fu colto solo in parte e solo da alcuni magistrati particolarmente esperti ed impegnati; così come, del resto, anche nel Veneto fu sottovalutata inizialmente la portata e la pericolosità della “Banda del Brenta” che ai metodi della mafia tradizionale univa strumenti e modalità che pretendevano di essere autonomi e innovativi.

Inutile fare altri esempi; basterebbe solo ricordare che i segnali della presenza mafiosa a Milano furono ancora più remoti di quanto si è detto. E’ notorio da molto tempo, che vi fu un famosissimo incontro di vertici della mafia, negli anni sessanta, a Cologno Monzese, dove si incontrarono personaggi come Gerlando Alberti, Calderone, Badalamenti, Buscetta, Salvatore Greco, Luciano Liggio, Joe Adonis, personaggi di grande fama e di grande reputazione mafiosa. Era impensabile che potessero riunirsi a Cologno e rimanere poi invisibili loro e la loro organizzazione; ed era altrettanto impensabile che potessero scegliere come luogo di incontro una località nella quale non godessero già di appoggi e strutture in qualche modo, anche se sommariamente, organizzate.

Insomma, è assolutamente certo che la mafia non è stata, per anni, così “invisibile”, come alcuni hanno mostrato di ritenere per lungo tempo.

Lo dimostra, del resto, la quarantina di processi solo a Milano e lo stesso fatto che per quanto riguarda beni di proprietà mafiosa confiscati e destinati ad usi sociali, la Lombardia è situata al quarto posto in Italia, mentre è al terzo per quanto riguarda le aziende confiscate, segno che per non pochi aspetti il fenomeno è dovuto venire allo scoperto, necessariamente, soprattutto quando operava sul territorio e su quel terreno veniva affrontato e in diversi casi sconfitto, se è vero che vi sono stati solo nella provincia di Milano oltre 2.000 arresti e vi sono state condanne molto rilevanti anche per personaggi di particolare notorietà e di soggetti a loro in qualche modo collegati.

Non a caso, d’altronde, la Commissione Parlamentare Antimafia percepì fin da epoca ormai assai remota l’entità del fenomeno, dedicando ad esso largo spazio nella relazione del 20 dicembre 1989, nella relazione di minoranza del 24 gennaio 1990, nelle relazioni del 4 luglio 1990 e 22 maggio 1991; fu ancora la Commissione Parlamentare Antimafia a svolgere sopralluoghi a Milano in quegli anni ed ottenere – d’ intesa con i Comuni interessati – sedute solenni proprio nell’hinterland sud di Milano, nei luoghi cioè dove veniva segnalata una larga presenza di organizzazioni mafiose e di personaggi di spicco.

Ma ancora: la Commissione Parlamentare Antimafia costituì nel corso della legislatura 1992- 1994 un gruppo di lavoro incaricato di occuparsi proprio delle attività e infiltrazioni delle organizzazioni criminali nelle zone non tradizionali; il lavoro di quel gruppo si concluse con un’ampia relazione che fu approvata all’unanimità dall’intera Commissione il 13 gennaio 1994 e successivamente fu pubblicata dall’editore Rubettino. In quella relazione, particolarmente ampia e frutto di una quantità notevolissima di incontri, di sopralluoghi in varie località e di audizioni anche estese, veniva presentato un quadro estremamente allarmante della situazione in tutto il nord Italia, con puntuali e precisi riferimenti all’enorme materiale acquisito soprattutto con il contributo della Magistratura e delle Forze dell’Ordine. Tant’è che nella relazione di minoranza presentata dalla Commissione Parlamentare Antimafia nel 2006, si riconosce ancora “la perdurante validità delle linee fondamentali della relazione 13 gennaio 1994”, ovviamente con tutti gli opportuni e necessari aggiornamenti.

Da tutta la documentazione cui ho fatto riferimento (compreso quanto si ricava dagli atti dei principali procedimenti penali di cui si è già detto) risulta con assoluta evidenza che le “isole felici” di cui un tempo si amava parlare a proposito del nord, erano finite da tempo. E non solo per l’invasione delle varie organizzazioni criminali provenienti dal sud, ma anche per la crescente presenza di organizzazioni criminali di altri Paesi (dapprima turchi, cinesi, marocchini, sudamericani, ecc e successivamente anche albanesi, russi e slavi).

Insomma, se negli anni più lontani qualcuno poteva azzardare il riferimento, peraltro inesatto, a Milano come la “capitale del riciclaggio”, nel tempo diveniva evidente che c’era ben altro e soprattutto c’era un grande miscuglio di reati anche gravissimi commessi dalle organizzazioni criminali di vario tipo, ma per lo più di stampo mafioso.

Ma questa, alla lunga, era la mafia “più visibile” e quindi in un certo modo più facile da combattere anche con gli strumenti e i metodi tradizionali.

Di mafia “invisibile” è più giusto parlare a proposito di altri tipi di comportamenti, che hanno più a che fare con il denaro che con le persone, più con gli uffici, le banche, le consulenze sofisticate, i grandi commerci e trasferimenti di denaro a livello internazionale che non con gli scontri di potere e le azioni intimidatorie sul territorio.

Sotto questo profilo, i problemi per le organizzazioni mafiose che operano nel nord sono di altro tipo e di vario genere: si tratta di acquisire il controllo di attività economiche, legate al mondo economico e finanziario, impiegare e trasformare l’enorme quantità di denaro ricavato da traffici imponenti di stupefacenti e di armi, dalle operazioni organizzate di estorsioni e di usura, da tante altre attività illecite.

Questa mafia, che compie la scelta strategica di trasformarsi in mafia “finanziaria” (pur non abbandonando le attività tradizionali), ricorre a tutti gli strumenti e a tutte le tipologie, dall’acquisto di aziende in stato di decozione alla intrusione nel mondo degli appalti, all’acquisto e trasferimento di immobili, al riciclaggio e così via, creando una vera e propria distorsione del sistema economico.

Secondo alcuni dati, le organizzazioni mafiose, che dispongono di proventi enormi ed hanno bisogno di reimpiegarli, investono solo l’11% in attività commerciali, il 17% nel comparto immobiliare e salgono addirittura al 60% per le operazioni finanziarie. Tutto questo si può fare dovunque, ormai con gli strumenti e i mezzi più innovativi e le nuove tecnologie, ma trova pur sempre la sede di elezione in aree non tradizionalmente mafiose, ove il denaro scorre in grande quantità e gli affari e i trasferimenti anche con l’estero sono di enorme portata.

Questo tipo di attività ha bisogno, ovviamente, di svolgersi in silenzio, sotto l’usbergo di una vasta area di perbenismo borghese e la copertura dell’apparente liceità delle operazioni, tanto più facile quanto più la società in cui si opera è degradata e tiene in scarsa considerazione i valori reali dell’economia e dell’etica.

Ed è proprio a fronte di questi fenomeni che è giusto parlare di “invisibilità”, come connotato e requisito costante di queste forme di attività criminali. Non dimenticando, peraltro, che esse non comportano affatto l’abbandono delle attività più tradizionali e in certo modo propedeutiche; in sostanza, tutti i fenomeni già indicati e più facilmente inquadrabili nel nostro sistema criminale, permangono e si espandono; mentre si estendono anche le presenze delle organizzazioni criminali straniere; con qualche immissione più recente, come si è accennato (l’immigrazione criminale dall’Europa dell’Est) e con qualche innovazione anche per ciò che attiene alla tipologia delle azioni criminose, per le quali si deve segnalare l’incremento costante di fenomeni un tempo meno diffusi, come la tratta delle donne, la riduzione in schiavitù, l’abuso e lo sfruttamento delle donne e dei minori e così via.

2. Tutto ciò che si è fin qui detto è stato oggetto di costante e diffusa sottovalutazione. In alcuni casi ci sono state addirittura obiettive difficoltà per comprendere i fenomeni e mettere in campo efficaci azioni di contrasto. In altri, bisogna dire che si è fatto di tutto per non vedere e non capire, anche quando ci si trovava di fronte a clamorose evidenze.

Non si può dire, infatti, che siano mancati gli avvertimenti e i segnali, fra i quali vanno evidenziate – prima di ogni altra cosa – le attività svolte dall’Autorità Giudiziaria e dalla Commissione Parlamentare Antimafia, a cui si è già fatto riferimento.

Già le iniziative di quest’ultima avrebbero dovuto determinare un mutamento radicale almeno delle opinioni. Ma anche i processi condotti a termine in varie sedi, con numerosissimi arresti, avrebbero dovuto contribuire alla caduta di alcuni pregiudizi e di alcune ignoranze. Anche se, come è ovvio, i processi si riferivano per lo più ad operazioni condotte sul territorio, nei confronti delle attività mafiose più visibili.

Ma ci fu anche una molteplicità di iniziative, anche a livello culturale e informativo, alle quali non corrispose nè un interesse reale, nè un seguito adeguato.

Mi riferisco alle Giornate di studio sulla criminalità organizzata in Lombardia promosse dal Consiglio Regionale della Lombardia nel 1979 e nel 1981-82, al convegno “Stato, mafia e poteri criminali” dell’ottobre 1983 con la partecipazione di studiosi, magistrati, giuristi, italiani e stranieri e giornalisti (poi pubblicato su “Democrazia e Diritto” del 1985), al convegno “Gli enti locali e la lotta alla mafia” ancora organizzato dal Consiglio Regionale di Milano; al convegno “Esperienze e confronti fra nord e sud” organizzato dalla Provincia di Milano nel 1998 ed altri.

Mi riferisco anche ai volumi pubblicati dall’editore Giuffrè, con gli atti dei convegni organizzati dal Consiglio Regionale, alla pubblicazione, editore Rubettino, della relazione nel 1994 del citato gruppo di lavoro della Commissione Parlamentare Antimafia; ai due fascicoli dedicati nel 1988 e nel 1992 dalla rivista Micromega ai problemi delle mafie del nord; ai libri di Colombo sul riciclaggio, di Turone, di Ciconte (sulle estorsioni ed usura in Lombardia), di Zamagni, sul mercato illegale e la mafia, all’importante volume “La mafia a Milano” a cura di Portanova, Rossi e Stefanoni, pubblicato nel 1996 dagli Editori Riuniti, e tanti altri.

A Milano, nel novembre 1990, fu istituito dal Comune un “Comitato di iniziativa e vigilanza sulla correttezza degli atti amministrativi e sui fenomeni di infiltrazione di stampo mafioso”, che poi presentò due relazioni parziali (una sulla situazione delle periferie milanesi, nel maggio 1991 ed una sulle procedure amministrative, nel luglio 1991) ed una conclusiva, nel luglio 2002. In quelle relazioni si forniva un quadro molto ampio della presenza delle organizzazioni criminali a Milano e degli effetti negativi che ciò poteva produrre, da un lato sulla vita delle istituzioni e dall’altro sulla stessa economia. Si formulavano indicazioni e proposte precise e si forniva un elenco ragionato degli indici più significativi della presenza e delle attività mafiose, da tenere sotto continuo controllo ed osservazione.

Infine, la citata relazione della Commissione Parlamentare Antimafia approvata il 13 gennaio 1994 conteneva non solo dati di conoscenza, ma anche precise indicazioni per il controllo dei fenomeni (non solo sul territorio) e l’indirizzo di ogni tipo di attività di contrasto.

Vi è stato, dunque, e vi è tuttora, un materiale vastissimo su cui riflettere e lavorare, non solo per contrastare la mafia visibile, ma anche per contrastare la cosiddetta mafia invisibile.

Né vanno dimenticate le numerose iniziative adottate dalla Commissione Parlamentare Antimafia, d’ intesa con il Ministro dell’Istruzione, fin dal 1993, per la diffusione di materiale di conoscenza sulla mafia nelle scuole, nonché l’attività svolta dall’associazione “Libera” dopo la sua costituzione nel 1995, per sensibilizzare, appunto, le scuole con iniziative, dibattiti e distribuzione di importanti materiali.

3. A tutto questo non ha corrisposto un’adeguata sensibilità complessiva nè una corretta percezione dell’entità del fenomeno. Ed anche questo, senza dubbio, ha contribuito alla invisibilità della mafia e all’indebolimento dell’azione di contrasto.

Ciò è dovuto a fattori molto complessi e variegati, che vanno dalla semplice indifferenza e sottovalutazione, fino al pregiudizio secondo il quale parlare troppo di presenze criminali in certe aree del Paese finirebbe per incrinare il buon nome di una città, di una regione o di un’istituzione.

E’ così che, mentre per altre relazioni della Commissione Parlamentare Antimafia vi furono notevoli interessamenti editoriali, per quella relativa alle infiltrazioni nel nord la ricerca fu più complessa e paradossalmente si concluse con la pubblicazione da parte di un editore del sud.

Quando furono presentate le relazioni del comitato nominato dal Comune di Milano, le reazioni furono “indignate”; si ritenne, da parte di alcuni amministratori, che il quadro fornito fosse tale da incrinare il buon nome della “capitale morale” d’Italia e, peggio, della cosiddetta “Milano da bere”; un amministratore parlò addirittura di una “coltellata nella schiena”; un sindaco liquidò il lavoro del comitato asserendo che erano tutte fantasie ed ingenuità (“la mafia, a Milano non c’è proprio; mi sono persuaso, parlando con il questore, che Milano non è affatto una città mafiosa”). Si ammetteva, insomma (significativa un’intervista pubblicata sul “Giornale” del 5 agosto 1992), che a Milano potevano esserci alcuni personaggi mafiosi, ma non il fenomeno come tale e che insomma “un pericolo mafioso specifico” non era stato dimostrato da nessuno.

Opinioni personali? Forse; di fatto, la relazione conclusiva del comitato non fu mai pubblicata e l’iniziativa non ebbe alcun ulteriore seguito, così come inascoltate rimasero le indicazioni e le proposte formulate.

Quando il gruppo di lavoro della Commissione parlamentale venne a Milano e il presidente Violante tenne una conferenza stampa a conclusione degli incontri tenuti in Prefettura, su un quotidiano milanese del 25 ottobre 1993 si poteva leggere: “La mafia a Milano? Solo fantasie. Non è stata una buona pubblicità per Milano la relazione dell’Antimafia dopo le audizioni. Troppo drammatica la relazione; si sono trovati discordi anche alcuni delle forze dell’ordine”.

Quando tornò, con altro presidente, la Commissione Parlamentare Antimafia, a Milano, il 10 gennaio 1997, all’incontro non si presentarono né il sindaco né il Presidente della Regione, impegnati altrove, e mandarono soltanto dei sostituti.

E non si è trattato di episodi occasionali se è vero che nella relazione del 2001 della Commissione Parlamentare Antimafia, preseduta dall’On. Lumia, si poteva leggere che “la percezione nelle zone non tradizionalmente mafiose della presenza della criminalità organizzata continua a rimanere molto bassa, al punto che da amministratori locali ne viene contestata la stessa esistenza”; e la relazione aggiungeva che “nelle visite effettuate nelle regioni del nord si è avuta la conferma che all’allarme lanciato dai magistrati inquirenti e dai responsabili delle Forze dell’Ordine corrispondeva una generale sottovalutazione da parte degli amministratori locali e di responsabili di istituzioni economico-finanziarie”.

Qui si apre una grande finestra su una situazione davvero paradossale.

Il fenomeno è percepito da Magistratura e Forze dell’Ordine, che però sono costrette – per tante ragioni, non esclusa la mancanza di strutture e mezzi adeguati – ad intervenire soprattutto sul territorio, restando quasi impotenti di fronte alle pur certe attività illecite, sul piano economico-finanziario, che costituiscono la massima espressione della mafia invisibile; mentre nel campo più delicato e difficile manca una reale collaborazione da parte degli organismi preposti, quando addirittura non vi siano forme di resistenza passiva.

Per altro verso, la stessa società civile, pronta a plaudire alle operazioni in grande stile contro le organizzazioni mafiose, resta assente da tutto quel lavoro anche di conoscenza ed informazione, ma soprattutto di partecipazione, che dovrebbe aiutare a combattere i fenomeni più rilevanti e meno appariscenti.

Ben pochi sembrano ancora disposti a cogliere i segnali che ripetutamente sono stati indicati sia dal comitato del Comune di Milano nel 1991-92, sia dalla Commissione Parlamentare Antimafia a partire dalla relazione del gennaio 1994. Eppure, le operazioni bancarie sospette, i frequenti turn-over delle licenze commerciali, l’acquisizione di società in stato di decozione, gli improvvisi arricchimenti, il diffondersi di società finanziarie sospette anche per la formazione di un sistema concatenato di scatole cinesi, la diffusione - a livello sistematico – dell’usura, le infinite e variegate forme di riciclaggio e così via, se non sono proprio sotto gli occhi di tutti, rappresentano tuttavia indici rivelatori di un sistema illecito e distorsivo della stessa economia, sicuramente percepibile almeno ad alcuni livelli istituzionali, finanziari ed economici.

Significativa la recente polemica che l’ABI ha condotto contro alcune dichiarazioni del Presidente della Commissione Antimafia, che aveva denunciato la scarsità di segnalazioni di operazioni sospette da parte delle banche. A prescindere dalle ragioni e dai torti, sui quali non disponiamo di dati sufficienti per emettere giudizi, colpisce in sè il fatto di una polemica fra organismi che dovrebbero collaborare per combattere un nemico estremamente difficile ed agguerrito.

Un grande maestro milanese del diritto sosteneva paradossalmente che è una lotta quasi impari quella fra lo Stato e la criminalità organizzata, perchè quest’ultima è più duttile, più sensibile di fronte agli strumenti nuovi, in un certo senso più “intelligente”, rispetto al legislatore che arriva spesso in ritardo, che è stretto da vincoli burocratici, che non sempre è capace di predisporre tutti i mezzi e gli strumenti necessari per combattere fino in fondo la sua battaglia. C’è del vero, nel paradosso, perchè in realtà la mafia, che non è più (bisogna ricordarlo sempre) quella immortalata nei film, con la coppola e la lupara, è prontissima a percepire il nuovo, le possibilità offerte dalla libera circolazione, dall’abbattimento di molte barriere, dalla globalizzazione e dai nuovi strumenti informatici, mentre lo Stato stenta a mettere in campo quelle “intelligence” che sono necessarie per indagare sui patrimoni, sui movimenti di denaro, sugli appalti, sulle operazioni economiche illecite e così via; e soprattutto, trova poca collaborazione nella stessa società e poca sensibilità da parte dei cittadini. E questo non è attribuibile solo all’indifferenza ed alla sottovalutazione, ma riconduce a responsabilità più elevate, di chi non riesce a creare una vera cultura non solo dell’antimafia, ma, prima ancora, della legalità ed a mettere in campo una strategia complessiva e largamente condivisa.

Una strategia che dovrebbe comprendere sia l’impegno sul territorio contro i reati più gravi, da quelli più antichi a quelli più recenti, sia l’impegno intelligente e informato contro le attività meno appariscenti, più “invisibili”, ma non meno gravi, preoccupanti e pericolose.

Sosteneva Falcone che gli uomini possono cercare di scomparire, magari con lunghe latitanze, ma il denaro finisce necessariamente per lasciare qualche traccia, solo che la si sappia cogliere. Personalmente, ritengo che anche le latitanze di personaggi potenti della mafia si giustifichino poco (ma il discorso, sul punto, sarebbe troppo lungo); ma sono certo che nonostante le innovazioni tecnologiche e le nuove libertà di circolazione delle persone e del denaro, è tutt’altro che impossibile affondare le mani anche nel sottofondo, purché si sappiano cogliere i sintomi esterni del male, si sappiano leggere i bilanci e le operazioni finanziarie, si sappia, cioè, operare con gli stessi strumenti che le organizzazioni criminali utilizzano, ormai in modo assai disinvolto, soprattutto nelle regioni del nord Italia.

Ma per questo occorre anche sconfiggere indifferenze e sottovalutazioni, allontanare i pregiudizi, formare – fin dalle scuole – una cultura della legalità e dell’etica anche nell’economia; occorre cioè impegnare tutti gli organi dello Stato e tutte le istituzioni economiche, finanziarie e sociali non meno che tutti i cittadini. Su questo piano, grande potrebbe essere anche il contributo degli organi di informazione che – lasciando perdere gli aspetti più appariscenti e impressionistici di alcune vicende – sappiano documentare, informare, sensibilizzare, appoggiando gli sforzi degli organi dello Stato, ma anche contribuendo a creare quella cultura di cui più volte ho parlato. Basti un esempio: dagli “stati generali dell’antimafia” tenutisi lo scorso anno, è uscita una serie di proposte molto serie, tutte, comunque, degne di riflessione. In realtà, di quelle indicazioni e proposte ben poco è giunto al cittadino, mentre nessun dibattito si è aperto pubblicamente sulle tematiche prospettate. E’un segnale negativo, perchè non è così che si può realizzare quel cambio di marcia nell’ impegno contro le mafie, anche e soprattutto contro la mafia “invisibile”, che pur da tante parti viene auspicato e sollecitato.

Se è vero che, anziché farsi la guerra, i gruppi criminali hanno realizzato tacite intese, dando vita a nuove forme di criminalità integrata o ripartendosi i compiti, se è vero che sul territorio operano gruppi stranieri di vario tipo ma che si ispirano anche a modelli comportamentali non tradizionali, ed infine se è vero che la mafia, per alcuni versi soprattutto al nord, si è trasformata in una mafia dedita agli affari ed alle operazioni finanziarie, è evidente che occorre oggi, più che mai, un vero salto di qualità, da realizzare:

- nell’azione politica complessiva, che deve ispirarsi alla massima chiarezza ed efficacia, ma senza incoerenze, nel contrasto alla mafia;

- nella Commissione Parlamentare Antimafia, potenziata e sempre più resa indipendente dalle collocazioni politiche, e più credibile nella composizione;

- nel rafforzamento degli strumenti d’indagine sul territorio e delle strutture delle Direzioni Distrettuali Antimafia;

- nel potenziamento dell’azione di contrasto e di intelligence sul piano economico e finanziario;

- nel potenziamento della collaborazione da parte degli operatori economici e delle banche;

- nella forte sensibilizzazione degli organismi istituzionali, degli Enti Locali e della stessa opinione pubblica, rendendo evidente a tutti che se la rapina sotto casa fa paura, tutto ciò che avviene nel mondo dell’economia illecita, sommersa, criminale, è assai più pericoloso perchè mette a rischio lo stesso sistema economico del Paese, la sicurezza dei cittadini, i poteri dello Stato:

- nell’abbandono degli atteggiamenti altalenanti, delle “convivenze” possibili, dell’accettazione quasi rassegnata dell’ineluttabilità dei fenomeni, rafforzando invece le conoscenze e la cultura della legalità.

www.omicronweb.it

lunedì 26 luglio 2010

Il Contesto di Leonardo Sciascia

Pubblicato nel 1971, ma scritto da Sciascia due anni prima, nel 1969.
Nel finale ci confida "che ho cominciato a scrivere con divertimento, e l'ho finita che non mi divertivo più".

Quando Leonardo Sciascia scrisse "Il contesto" volle raccontare di un paese immaginario, un'Italia al di là del bene e del male, in cui non c'erano più differenze tra destra e sinistra, tra governo e opposizione, ma soltanto parti in commedia, maschere, travestimenti, e non gli fu perdonato. Era difficile, del resto, perdonargli Il contesto, dove un poliziotto, Rogas, incaricato d'indagare sulla morte di alcuni giudici ammazzati a revolverate da un misterioso killer, scopre quasi subito che l'assassino è un uomo che quei magistrati avevano ingiustamente condannato.
Tornato da qualche tempo in libertà, costui è deciso a eliminare tutti i giudici che, un grado di giudizio dopo l'altro, indifferenti e spietati, in nome d'una giustizia da cannibali, hanno provocato la sua rovina. Rogas, che ha letto con attenzione le carte processuali, prova simpatia per l'assassino, anzi ascolta con piacere la voce della sua rivoltella, al punto che gli lascia mano libera quando il killer s'appresta ad uccidere anche il presidente della Corte Suprema, un grande inquisitore per metà Orwell e per metà Dostoevskij. Costui si dice convinto che "la giustizia siede su un perenne stato di pericolo, su un perenne stato di guerra" e che "non ci sono più responsabilità individuali" ma una moltitudine di colpevoli, "puniti nel numero, giudicati dalla sorte". Ma i politici al governo di questo paese immaginario - un'Italia che sta per entrare nel turbine del terrorismo e dell'antiterrorismo, della mafia e dell'antimafia, dei fermi di polizia e delle "leggi speciali" - non sanno che farsene d'un vendicatore. A loro serve un nemico spendibile politicamente, per esempio un gruppuscolo armato d'estrema sinistra. Non importa se un tale gruppuscolo non esiste. Essi lo susciteranno dal nulla, dopo aver liquidato Rogas, con la complicità del Partito rivoluzionario internazionale, che lascia fare e sacrifica a questo progetto persino il proprio leader.

Anni dopo gli verrà riconosciuto un "certo spirito profetico" - tra una scomunica giornalistica e l'altra - e Sciascia scuoterà la testa. Era già tutto evidente, dirà.
Il romanzo e' scomodo e politicamente molto scorretto, "mette in discussione le sentenze dei tribunali". E' un'opera civile che chiama i giudici a rispondere non solo degli errori, ma anche della loro stessa esistenza e che chiede ai politici di vergognarsi delle proprie astuzie.
Nel 1971 l'Italia era saldamente in mano alla Dc, le Brigate rosse erano ancora nel mondo della luna, Lucio Battisti guidava tutte le hit parade, il compromesso storico non aveva ancora sostituito il materialismo storico, al cinema trionfava "Giù la testa" di Sergio Leone e di mafia si parlava poco, anzi niente, giusto nei romanzi di Sciascia e nel Padrino di Coppola. Erano appena trascorse le "lotte studentesche" e la strage di Piazza Fontana era ancora una fresca ferita. Si pensava che il Sessantotto e l'Antisessantotto avessero esaurito la loro spinta propulsiva, come la rivoluzione d'ottobre secondo Berlinguer.
Sciascia spiegò con le sue metafore che non era così e che il gran ballo era anzi appena cominciato. "Il contesto" e' uno strano romanzo giallo/poliziesco ambientato "in un paese immaginario", con un partito confessionale al potere e un Partito rivoluzionario internazionale all'opposizione.
Cerco' di spiegare (a chi non lo voleva o non lo poteva ascoltare) qual era la realtà: l'amministrazione della giustizia era da una parte mentre l'irresponsabilità dei politici era da un'altra parte.
Questa parabola non piacque a nessuno, non al partito confessionale al potere in Italia (la DC), tantomeno al partito di lotta e di governo all'opposizione (il PCI).
Con questo scritto, a cui seguirono nel giro di pochi anni "Todo modo" e il pamphlet sulla morte di Moro, Sciascia inizio' a perdere d'un tratto quasi tutti i suoi tifosi istituzionali, in particolare i suoi sponsor di sinistra, tra i quali uno dei primi fu Eugenio Scalfari.

Chiunque avesse letto qualche romanzo giallo e avesse usato il buon senso al posto della demagogia avrebbe capito che cosa si stava preparando e in quale direzione si stavano muovendo gli eventi.

domenica 18 luglio 2010

Certosa di Pavia e la casa del Guardiano Idraulico

L'argomento a cui rimanda questo post riguarda (come potrete leggere cliccando qui) un particolare di Certosa di Pavia che non tutti conoscono: la conca del Naviglio Pavese.

Tutti noi ci passiamo più volte al giorno e nessuno forse ci fa più neanche caso, ma è un pezzo importante della storia certosina.

La Casa del Guardiano sulla Conca del Naviglio
Ho scoperto da poco il blog dino secondo barili ricerche storiche locali (Pavia e Provincia) che Dino Barili ha creato a gennaio di quest'anno.

Lo seguo assiduamente perché tutti i giorni offre interessanti spunti di riflessione.

L'autore indaga anche su molti aspetti storici di quella che a torto è considerata una zona di minore importanza storica e sociale della provincia pavese rispetto all'Oltrepo e la Lomellina: la "Campagna Pavese".

Il territorio a nord di Pavia si chiama appunto così ed è composto dalla "Campagna Sottana" posta ad Est del capoluogo e dalla "Campagna Soprana" a Nord.

In seguito approfondirò l'argomento perché ritengo importante la conoscenza della storia, in quanto con essa si capisce il presente.

mercoledì 14 luglio 2010

aggiornamento del 14 luglio 2010

grazie agli aggiornamenti di GianLuigi Vecchi


Edizione molto importante della Provincia Pavese del 14 luglio 2010 con gli articoli riguardanti il blitz antimafia che ha toccato pesantemente anche il nostro territorio


Previsti tra l’altro una multisala con sei cinema e anche un albergo da undici piani
Borgarello dice sì al megacentro


Il progetto passa in consiglio comunale: «Arriveranno 650 posti»

Maggioranza compatta l’opposizione non ha approvato


BORGARELLO. Lunedì sera il consiglio comunale ha adottato il progetto del megacentro. Il progettista e i consulenti della società bergamasca «Progetto commerciale», che vuole realizzare il polo alle porte di Pavia, hanno esposto il piano nei dettagli. Ma i dati snocciolati per più di due ore hanno convinto solo i consiglieri di maggioranza che hanno votato a favore. Voto contrario di Laura Baronchelli, astenuti gli altri consiglieri di minoranza Antonio Vitolo e Maria Teresa Guarino

 Adesso, dopo l’adozione, ci sarà la Conferenza dei servizi con la partecipazione di Regione, Provincia e Comuni limitrofi per l’ok definitivo. Per Baronchelli il centro commerciale «è una colata di cemento su un’area verde, una decisione che peserà in modo negativo sulla qualità della vita a Borgarello». L’ex sindaco Vitolo invece ha chiesto di aumentare dal 30 al 100% il numero delle assunzioni a tempo indeterminato: «Bisogna tener conto delle esigenze attuali - ha affermato - favorire lavoro stabile e non precario». «Mi astengo - ha detto invece Guarino - perché ci sono punti da verificare. Chiedo infatti garanzie per i nostri commercianti e l’istituzione di una commissione di controllo costituita dai sindaci dei Comuni limitrofi e dai consiglieri di minoranza. Sarebbe meglio pensare a migliorare la nostra scuola».
 Alla seduta erano presenti anche rappresentanti della società di Bergamo che ha dirottato il proprio interesse sulla zona nord di Pavia «in quanto scoperta da grosse strutture commerciali». «Dalle nostre ricerche di mercato - ha sostenuto la proprietà - risulta che c’è un’enorme fuga di consumi verso Milano». Insomma Borgarello sarebbe un punto strategico per assicurare un fatturato di centinaia di milioni di euro e la scelta di diminuire la superficie commerciale è stata dovuta dalla volontà di «evitare di incorrere nell’accordo di programma, procedura che ha tempi incerti».
 Il centro commerciale, secondo le intenzioni del progettista, Walter Tonali, è stato pensato per minimizzarne l’impatto. Un edificio da 16 metri, da cui svetta la torre dell’albergo, alta 45 metri, 90 camere, 11 piani. E poi c’è la multisala con sei sale cinematografiche, le aree per le attività sportive e un distributore di benzina e servizi come il nido e la nursery. All’undicesimo piano dell’albergo ristorante e planetario «un prisma di vetro incastonato nella torre», ha sostenuto il progettista pavese. «Sarà una struttura sicuramente a misura d’uomo - sostiene il sindaco Giovanni Valdes - e molto innovativa che porterà 650 posti di lavoro e 45 di indotto». Previsti percorsi ciclabili e la variante che «ridurrà il traffico sull’ex statale 35 del 50%», come ha sottolineato l’ingegner Massimo Perculani del centro studi traffico di Milano


I NUMERI
Al Comune andranno 14 milioni di euro
BORGARELLO. Oltre 14 milioni di euro. E’ questa la somma di cui beneficerà il Comune. 650 posti di lavoro, almeno il 30% di assunzioni a tempo indeterminato, il 50% di personale femminile, altro 50% di residenti a Borgarello e nei Comuni limitrofi.
 Verranno privilegiate le imprese locali. Sono 2 milioni e mezzo gli oneri di urbanizzazione, un milione di opere di interesse pubblico, tre milioni l’acquisto di Villa Mezzabarba, 400mila euro per il sostegno alle piccole imprese del territorio, 6 milioni e mezzo la variante.
 L’area di vendita è di 14.950 metri quadrati, la superficie coperta totale è di 48.900 metri quadri. Sarà di circa 7mila metri quadrati la galleria commerciale, pista di pattinaggio 300 metri quadri e poi la grande piazza di 6.500 metri quadrati, un anfiteatro, 100mila metri quadri di parcheggi (3mila posti auto, l’80% coperti). Area verde da 100mila metri, 32.700 il parco tematico, costo 865mila euro.


Borgarello, indagato il sindaco

Valdes non parla. Arrestato l’imprenditore edile Francesco Bertucca 
BORGARELLO. Il sindaco Giovanni Valdes esce dal Comune un po’ stordito. Sono le 12.45, in mano ha alcuni fogli intestati alla Divisione investigativa antimafia di Milano.
 Maglietta bianca, sandali e pantaloni corti. Sembra un turista, ma è solo uno dei trecento destinatari di un avviso di garanzia per la più vasta operazione anti ’ndrangheta mai condotta in Lombardia. Gentilmente rinvia i cronisti al pomeriggio: «Devo parlare con il mio avvocato».
 Poche ore dopo Mario Brusa, avvocato e professore universitario vicino alla Compagnia delle Opere gli impone il silenzio. Brusa ha difeso Formigoni nell’indagine Oil for food è uno dei migliori legali in materia penale per reati contro la pubblica amministrazione.
 Valdes ha diverse gatte da pelare. La magistratura antimafia vuole capire certi appalti assegnati nel suo paese. Ma tra gli arrestati c’è anche un suo concittadino, Francesco Bertucca, padre di Antonio.
 Nato a Careri 57 anni fa, ma residente nel Pavese dal 1965 è accusato di essere uno degli esponenti di spicco della locale della ’ndrangheta. Anzi, di recente avrebbe tentato, con Pietro Brancatrisano, Giovanni Gattellari e Biagio Scriva, di creare una locale a Voghera.
 Si tratta di una persona incensurata, anche se i carabinieri di Pavia, tredici anni fa aveva chiesto una misura di prevenzione perché molto vicino a Salvatore Pizzata, al quale è legato dal vincolo del San Gianni (padrinato di battesimo dei figli dell’altro).
 Nell’indagine condotta dalla Dia è emersa in un primo momento per i suoi contatti telefonici con Bruno Longo, successivamente per i capporti con Pino Neri e solo in questo momento è stato al centro delle attenzioni investigative.
 Sembra in relazione alla sua attività lavorativa - è imprenditore edile - sono stati fatti sequestri ieri mattina nei comuni di Borgarello e San Genesio.

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domenica 4 luglio 2010

Beato Guglielmo Fenoglio - il Santo del prosciutto

Dietro la facciata monumentale della Certosa di Pavia, nel risvolto esposto a sud, c'è un tondo di marmo scolpito che raffigura una figura di monaco dalle caratteristiche inusuali.
Fra le mani, infatti, stringe un cosciotto di animale, con l'inconfondibile sagoma di un prosciutto.
La posizione di questo bassorilievo è tale che lo si trova davanti agli occhi, se si sa dove cercarlo.
Questa posizione la si trova molto facilmente se vi è capitato di recarvi alla Messa festiva che i monaci celebrano, dopo la chiusura delle visite al Monumento, nella cappella del chiostro piccolo. 

La porta del Chiostro Piccolo
Finita la funzione religiosa i monaci vi faranno uscire dal Chiostro attraverso una porticina che di solito è sempre chiusa.
E' a questo punto che ci si trova di fronte, in controluce, a circa due metri e mezzo di altezza questo bassorilievo.

Beato Guglielmo Fenoglio
Si tratta, a giudicare dall'abito, di un monaco certosino che doveva essere molto importante, tanto da meritarsi quella posizione, solo apparentemente un po' nascosta, ma in realtà sotto gli occhi di tutti.
Non si può fare a meno di osservarlo e guardandolo bene si può notare che porta a tracolla una gamba di un animale. Infatti è conosciuto e ricordato come "il santo del prosciutto".

Beato Guglielmo Fenoglio (particolare)
Un bel giorno, dopo alcune ricerche, finalmente ho scoperto la storia di questo personaggio, che era stato un umile converso certosino, di nome Guglielmo Fenoglio, vissuto all'incirca tra l'XI e il XII secolo nella Certosa di Casotto, situata circa 16 chilometri a ovest di Garessio in provincia di Cuneo, oggi diventato il Castello di Casotto.

La storia

Frate Guglielmo era addetto al vettovagliamento del monastero e raccoglieva viveri, granaglie e legumi dalle varie cascine, facendo la spola con la mula del monastero tra Casotto e le località circostanti, talvolta sino ad Albenga e a Mondovì.

Le strade allora erano infestate da briganti e accadeva abbastanza spesso che fratel Guglielmo fosse rapinato lungo il suo cammino. Il Priore, di fronte al suo profondo abbattimento, gli disse un giorno tra il serio e il faceto: "La prossima volta che incontrerai i ladri, impugna una gamba della mula e mettili in fuga!".

L'umile Guglielmo ebbe occasione di prenderlo in parola. Non trascorse molto tempo che dovette subire un altro assalto dei ladroni. Memore delle parole del Priore, afferrò una gamba della giumenta, la staccò e la impugnò contro gli assalitori i quali, atterriti da tale gesto, se la diedero a gambe. Il frate rimise la zampa al suo posto e ritornò alla Certosa. Nella fretta, però, aveva riattaccato la zampa a rovescio e la mula zoppicava. Questo fatto confermava le chiacchiere che rapidamente si diffusero, nel monastero e nel circondario, sull'impresa di Guglielmo, tanto che il Priore decise di indagare.

Fratel Guglielmo non ebbe difficoltà a raccontare, con candore, la sua storia incredibile: non aveva fatto altro che applicare i consigli del suo Priore. Deciso a chiarire se si trattasse davvero di un miracolo, il Priore "rimproverò" Guglielmo per la sbadataggine e gli chiese di rimettere a posto la zampa della mula. Il fraticello, pronto, si affrettò a staccare di nuovo l'arto per ricollocarlo nel modo giusto, scusandosi per l'errore precedente. Ciò avvenne di fronte a diversi testimoni, senza che la mula perdesse sangue né mostrasse il minimo segno di dolore.

Il Beato Guglielmo morì nel 1120. Poco tempo dopo, il suo corpo venne esumato "a furor di popolo" dal camposanto, per tutti i miracoli che compiva. Fu trovato incorrotto e posto in un'urna, rischiarata da una lampada sempre accesa. Quest'urna fu in seguito nascosta in una nicchia nei muri della chiesa. All'epoca della Rivoluzione francese si perse ogni memoria sul punto esatto del nascondiglio.

Il miracolo della mula fu rappresentato dappertutto in Europa, sui monumenti dell'Ordine certosino: dalla Spagna al Portogallo, dall'Inghilterra alla Francia, all'Italia. Nel bassorilievo tondo della Certosa di Pavia, il Beato Guglielmo è vestito da certosino e impugna il cosciotto della mula, dalla tipica forma "a prosciutto" (o piuttosto dovremmo ormai dire "a bresaola", data la specie dell'animale). Ragioni di spazio non hanno consentito di raffigurarvi tutta l'immagine della fedele mula. In altre raffigurazioni il Beato impugna non l'intera gamba, ma solo lo stinco dell'animale.

Pio IX il 19 marzo 1860 proclamò ufficialmente Beato Guglielmo Fenoglio e consacrò una fama che si era già diffusa nei secoli attraverso l'Europa intera. A quel tempo, però, la tomba di Guglielmo era già scomparsa e la religiosità popolare era in fase di declino.

Nota bibliografica : R. ARNEODO, Garessio - Pagine di storia, ed. Nicola Milano, Farigliano, 1970