google.com, pub-1908550161261587, DIRECT, f08c47fec0942fa0 Pensieri sparsi: 2011

mercoledì 14 dicembre 2011

Una poesia sulle donne in Certosa

Nonostante la Certosa di Pavia sia un santuario dedicato alla Beata Vergine Maria Madre delle Grazie, i monaci hanno sempre vietato l'ingresso alle donne.

Non é una discriminazione di natura sessuale, poiché neppure gli uomini, salvo rare eccezioni, possono entrare indiscriminatamente nella clausura. Nei quasi mille anni di storia degli ordini monacali, sono state mantenute pressoché intatte tutte le regole certosine, così come quelle dei monaci benedettini.

Per capire la spiritualità e lo stile di vita monacale sono fondamentali gli scritti di uno dei primi monaci certosini, Guigo II. Scrisse le Meditazioni - sotto forma di lectio divina, un Commento al Magnificat e la Lettera sulla vita contemplativa, la Scala Claustralium o Scala Paradisi.

Questo testo è dedicato all'amico Gervaso, cui un tempo Guigo fu unito ma dal quale fu costretto a vivere separato.


Nei secoli, molte regine hanno espresso il desiderio di fare visita ai monasteri di cui erano benefattrici e con cui buoni avevano rapporti. Nei "Costumi di Guigo" era indicato il divieto di ingresso alle donne che consentiva l’assoluto isolamento dei monaci e favorirne la meditazione. Negli annali dell’Ordine troviamo un paio di episodi di visite femminili ai monasteri, che avvennero nel XV secolo, quando i priori di due certose consentirono l’ingresso ad una fondatrice e alla regina Isabella di Baviera. Per questi "strappi" alla Regola i rispettivi priori furono puniti dal Capitolo Generale con estrema severità, costretti ad una astinenza obbligatoria di svariati giorni, rischiando anche di essere deposti dall'incarico. Dopo questi fatti, fu sancita una "eccezione" alla Regola, che riguardante però solo le regine regnanti. Per le altre donne furono costruite cappelle apposite fuori la clausura per consentirne la sosta in attesa dei nobili e benefattori maschi, a cui era concesso di entrare.

Questa disposizione fu confermata nei secoli da varie Bolle papali.



La poesia e la leggenda. La realtà viene amplificata e, arricchita dalla fantasia popolare, spesso diventa come una favola. Si trasformano episodi reali e, celebrando i personaggi importanti per la storia di un popolo o di un luogo, si cerca di spiegare una caratteristica dell'ambiente naturale o dare risposta a dei perché.

Con il trascorrere del tempo la leggenda si trasforma in modo sempre più fantasioso.

Anche la Certosa di Pavia non è da meno ed ha le sue leggende.

Una di questa narra come Gian Galeazzo Visconti - il Conte di Virtù - nel fondare la Certosa, abbia deciso di vietarne l’accesso alle donne. C'è una recente poesia, dal titolo “Farò sü una Certosa…”  che descrive questo episodio di fantasia. Narra di come possa essere nata la sua avversione verso le donne dentro la Certosa. Fa anche riferimento ad un altro aneddoto: la visita di Elena di Savoia alla Certosa avvenuta nei primi anni del 1900. Qui si narra che la Sovrana abbia decretato che da allora in poi la Certosa fosse aperta ai visitatori di ambo i sessi.

Propongo la poesia sia in dialetto che in italiano

Farò sü una Certusa…

Galeàs una matina l’er a càcia in dal sò busch
quand che in mes ala maltina ‘l s’e truà trà ‘l brüsch e ‘l lusch.
Un cagnàs cuntra un quèi còs al baieva sfularmà:
forsi s’er levà la quàia o la legura intanà.
Sensa tèma, par guardà, al và ved renta i büscon
ma ‘l finisa in d’una mèlma masarà fin ai calson.
Pòrca cica, l’ha pensà, va che lòbia ch’ ò ciapà!
E tentand da tiràs föra la ris-cià da sprufundà.

“Dès da chi, chi l’e ca’m leva sa ghe in gir nan un masèr?”
Sla vedeva tanta brüta cl’à di sü fin’un patèr.
E gni föra da Guinsan, una squadra da mundin
chi cantevan: “Viscunt crèpa sèt un bòia, ‘n àsasin”
Quand an vist la màl paràda d’un lifròch inmaltanà,
gan fài sü ‘na sghignasàda che mai pü ‘s ripetarà.
“Tirem föra, parpaquàn, che sl’e vera ch’ som chi som,
chi ‘d par tüt, e anch’ in guèra, rèsti sempar mi ‘l padron”.

Pòri dòn! Tüt’a stramì, cun un ràm s’en dài da büt:
tir’e mòla, dasi dasi, l’an cundüt fin in sal süt.
Quand l’e stài sicür dla vita, i à cacià föra di bàl
restend lì sul, cul sò can, ca’l s’e mis adre a lecàl.
L’à spüdà ‘n tremend rusàri par vendèta sempitèrna
e quand l’à pudü levàs, l’à giurà: “Rechiemetèrna!
Chi, indè ch’ò fài la möja, farò sü ‘na gran Certusa
e mài dentar ga ‘ndarà ne una fiöla ne ‘na spusa”.

Lü l’e mòrt me tüti i àltar, ma süi sàcar paviment
i tàchèt d’una fantesca s’er nàmò pudü dà sent
fin che Elena Regina l’à decis da andà indi frà
par fàgh gràsia e fàgh unur cun un’opera ad pietà.
Sa pudeva digh ad nò? Par l’amur dal bon Gesü,
la Certusa l’e ‘na cesa o la gà un quèi còs ad pü?
“Venga vostra Maestade, benvenuta tra di noi,
anche noi vestì da frate siamo tutti figli suoi!”

La Reale pelegrina, la usèrva dapartüt,
ògni pàs ghe un munüment e la rèsta cul fià müt.
Caminand cul nas in sü, la spatàsa i sàcar prei
e la vör fermàs davanti a sti grandi màravei.
Ma in snugion e penitent, dadre ‘d le ga vegna ‘n frà,
ca’l gà in man un fögh brüsient, par brusàgh i sò pednà.
“Cosa fate?” La dumanda. “Per la regola si fa,
mai di femmina qui dentro un’impronta resterà”.

La vicenda ormài l’e ciàra. La regina l’à di ‘nsì
che dre ‘Le, d’ur’ in avanti, anch’ i dòn pudaran gni.
Gher in tòrt Gian Galeàs quand ca ieva sluntanà
parchè, inveci ‘d maledii, i a dueva ringrasià.
Gher da fàgh una belèsa ricamà dumà par lur,
parchè sensa, al Galeàs, l’avaris ben cüntà i ur!
Dès indè ch’èt fài la möja ghe ‘na gran bèla Certusa
cun ti dentar, dopu mòrt, ben arenta ‘la tò spusa”

Sciur Giuön, Giùgn 2005


Farò sü una Certusa…

Galeazzo un mattino era caccia nel suo bosco
quando in mezzo alla fanghiglia si è trovato tra il brusco e il losco.
Un cagnaccio contro qualcosa abbaiava imbestialito:
forse s’era levata la quaglia o s’era intanata la lepre.
Senza timore, per guardare, va a vedere vicino ai cespugli
ma finisce in un pantano macerato fino ai calzoni.
Accidenti, ha pensato, guarda che rogna mi sono presa!
e tentando di tirarsi fuori ha rischiato di sprofondare

“Adesso da qui, chi mi toglie se non c’è in giro neanche un massaro?”
Se la vedeva così brutta che ha recitato perfino una preghiera.
È uscita da Guinzano una squadra di mondine
che cantavano: “ Visconte crepa sei un boia, un assassino”.
Quando hanno visto la mal parata di un buontempone impantanato,
ci han fatto sopra una sghignazzata che mai si ripeterà.
“Tiratemi fuori, parpaquane, che se è vero che sono quel che sono,
qui dappertutto, e anche in guerra, resto sempre io il padrone”.

Povere donne! Tutte spaventate, con un ramo si sono date da fare:
tira e molla, adagio adagio, l’han condotto sull’asciutto.
quando è stato sicuro della vita le ha cacciate fuori dalle palle
restando lì solo col suo cane che si è messo a leccarlo.
Ha sputato un tremendo rosario per vendetta sempiterna
e quando ha potuto alzarsi, ha giurato: “ Requiemeterna!
Qui nel punto dove son finito a mollo costruirò una Certosa
e mai dentro v’entrerà ne ragazza ne sposa”.

Lui è morto come tutti gli altri, ma sui sacri pavimenti
i tacchetti d’una fantesca non si son potuti sentire
finché Elena Regina ha deciso di andare dai frati
per fargli grazia e fargli onore con un’opera di pietà.
Si poteva dirle di no? Per l’amor del buon Gesù
la Certosa è una chiesa o ha qualche cosa in più?
“Venga vostra Maestade, benvenuta tra di noi,
anche noi vestiti da frate, siamo tutti figli suoi”.

La Reale pellegrina, osserva dappertutto,
ogni passo c’è un monumento e rimane col fiato interrotto.
Camminando col naso in su, calpesta le sacre pietre
e vuole fermarsi davanti alle grandi meraviglie.
Ma inginocchiato e penitente, dietro a lei viene un frate
che ha in mano un fuoco ardente, per bruciare le sue pedate.
“Cosa fate?” Lei domanda. “Per la regola si fa
mai di femmina qui dentro, un’impronta resterà”.

La vicenda ormai è chiara, la Regina ha detto così
che dietro a Lei, d’ora in avanti, anche le donne potranno venire.
Era in torto Gian Galeazzo quando le aveva allontanate
perché, invece di maledirle, le doveva ringraziare.
C’era da fare una bellezza ricamata solo per loro
perché senza, Galeazzo, avrebbe potuto contare le ore!
Adesso, dove ti sei bagnato, c’è una gran bella Certosa
con Te dentro, dopo morto, ben vicino alla tua sposa”.

Giovanni Segagni - Giugno 2005

domenica 11 dicembre 2011

Un brano di Mino Milani per la Certosa

Questa nota nasce dalla mia recente visione del film "Fantasma d'amore" tratto dal romanzo scritto nel 1977 da Mino Milani.

Il film, diretto da Dino Risi, narra la storia di un uomo, Nino (Marcello Mastroianni) che, per puro caso, incontra sull'autobus la sua prima fidanzata Anna (Romy Schneider).

Le immagini dei primi anni '80 fotografano i luoghi di Pavia e di altri luoghi della provincia pavese, moderni e antichi allo stesso tempo, che sono ancora chiaramente riconoscibili..
La curiosità mi ha spinto a leggere il romanzo, che ho facilmente preso in prestito nella biblioteca di Certosa di Pavia.

Non voglio però raccontare qui la storia e le tragiche vicissitudini dei personaggi, ma cercare un'altra chiave di lettura.

Come purtroppo spesso accade, l'adattamento al cinema sacrifica molto dell'opera originale.

Un brano del romanzo, infatti non è stato ripreso dal film.

La storia raccontata dall'autore pavese è densa di tanti altri messaggi e ricche suggestioni. Mi ha colpito molto, proprio nel primo capitolo, leggere un brano che riguarda molto da vicino il Monumento della Certosa di Pavia.

E' di una eccezionale attualità.

Mi sono permesso di trascriverlo qui di seguito e vi invito a leggerlo, facendo attenzione che Mino Milani lo scrisse nel 1977.
Il giorno dopo ci fu la visita alla Certosa: “Lo so che è un sacrificio, per te, ma mi spiacerebbe se la gente pensasse che tu ci snobbi e, guarda, dovresti proprio venire” mi aveva detto Teresa. Sì, certo; le avevo proposto di andarci in automobile, avremmo potuto dare un passaggio a qualcuna delle socie più anziane, per esempio, o a monsignore. Ma lei fu irremovibile: era stato noleggiato l’autobus, e si sarebbe andati in autobus, si trattava di sette chilometri, infine, e lei era la presidentessa, me ne ricordavo? Sì, certo, me ne ricordavo, e così feci il viaggio in piedi, per lasciare seduta questa o quella signora. In piedi con me c’erano altri mariti, sorridenti, soddisfatti e infaticabili nella conversazione. Un paio di volte colsi lo sguardo di Teresa, che si posava su di me un po’ perplesso e un po’ preoccupato, e accennai, allora, e sorrisi a dire che tutto andava bene e che il sacrificio non era poi così grosso.

“La vedo un po’ stanco, caro dottore”mi disse il professor Neri, in piedi accanto a me. Ma guarda questo scemo, pensai.

“Eh, che vuole, professore? Il lavoro”

“E gli anni. Ogni anno ne passa uno”

“Non ci si scappa”

“Ma lei è ancora tanto giovane! Ah, conosce il ragionier Chiarini?” ed era la terza volta che mi presentavano il ragionier Chiarini, marito di una consigliera.

“Molto onorato” dissi.

Il professor Neri spiegò “Il dottore è marito della nostra presidente” e il ragionier Chiarini fece un breve inchino.

E intanto eravamo arrivati e si cominciava a scendere, nel grande piazzale, con i pioppi altissimi - un ultimo pennacchio di foglie gialle, lassù in cima, contro il cielo azzurrino.

Guidò la visita un frate, tonaca bianca e nera, aria furbetta.

Rispondeva alle domande sicuro e paziente, illustrava con autorità, scioltezza, ampi gesti eleganti, andando di quadro in quadro, di angolo in angolo, con passo svelto, e noi lo seguivamo aggruppati e timorosi di perdere qualche sua parola. Un accidente. Perché quello scemo di professor Neri mi aveva trovato un po’ stanco? Be’, forse un po’ lo ero, sì: ma avrei voluto vedere lui, lavorare come lavoravo io. Del resto, d’accordo, un certo periodo di riposo m’avrebbe fatto bene.

Eravamo ora davanti a un grande affresco, e il frate accennava, levando il braccio, con la tonaca che ricadeva elegante a scoprirgli il polso, e diceva: “...ma qui, anche una testimonianza opposta: quella cioè della inciviltà di un popolo. Il buio dopo la luce, ma questa forse è una espressione troppo forte. Ne troveremo un’altra, insieme. Loro avranno veduto come, alle statue dei bassorilievi e delle sculture sulla facciata, manchino le teste... Sì: la testa, staccata dal fondo, è più esposta al danneggiamento, ma..” una pausa, le mani aperte e levate “ma in verità, quelle teste non ci sono più non a causa, o meglio non solo a causa degli incidenti occorsi nei secoli, del logorio, dell’invecchiamento, diciamo naturale d’ogni cosa creata... quelle teste mancano perché sono state rubate. Sissignori. .. cioè, sissignore : rubate. Le figure delle fasce marmoree sono state decapitate”.

Il frate attese che si tacesse il solito mormorio di raccapriccio, e continuò: “Ma almeno, allora, si trattava di furti sacrileghi, nel senso che i visitatori erano persuasi, nella loro fede, di portarsi a casa delle reliquie, portandosi appresso quelle teste. Ora, invece, a parte il saccheggio delle opere d’arte, i furti nei musei e nelle gallerie... e tutti a fini non certo religiosi!, oh, ora non si visita più un monumento di fede, quale è precisamente questo, non dimentichiamolo, per senso religioso!... Guardate qui : graffiti. Ne sentiamo parlare : american graffiti, naturalmente... e ce li troviamo in casa! No, no: non abbiamo nulla da imparare! Sanno?, noi italiani dovremmo mettere tutto sotto vetro e sotto grata, sotto chiave, insomma. Graffiti! Guardino: con un chiodo, un temperino, che so?, una forcina per capelli, guardino quanti visitatori hanno scritto qui il loro nome! Guardino” e faceva scorrere l’indice affusolato su quel reticolo biancogrigio di nomi, di date, di segni, che occupava la parte più bassa dell’affresco.

Qualcuno alle mie spalle disse, sopra il brusio scandalizzato che si faceva sentire: “Io pubblicherei tutti questi nomi in un libro, avvertendo: ecco i nomi dei nuovi vandali!”.

“Giusto!”

“Macché libro! Multe, ci vogliono, e salate! Costringerli a pagare le spese di restauro!”

“Eh, ma bisognerebbe prenderli sul fatto!”

“Per me, basterebbero più guardiani”

“Che facciano il loro dovere, sì”

“Ecco,” aveva ripreso il frate “ecco l’idiozia, parola grossa, ma mi permettano di usarla, l’idiozia di certa gente « Pietro R., 23 maggio 1968»... Evidentemente questo signor Pietro si sentiva molto importante. E questo? «Luigi Bellotti fece» Capiscono?... Fece: come scrivevano i grandi pittori! Si vanta, anche, questo signor Bellotti!” ed era diventato quasi un gioco, e le signore del circolo si protendevano a leggere nomi e date; e il frate continuava: «Angelo e Marisa, cinque mars»... marso: anche gli errori d’ortografia, ora... e questi?, questi che si giurano amore, con i nomi contornati da un cuore?... Guardino:«Nino e Anna, ieri e oggi»”.

Li avevo visti mentre li leggeva, un istante prima. Quei nostri nomi, Nino e Anna, ieri e oggi. Una luce obliqua. Un senso di stupore rinnovato e profondo, un attonito, lieve tuffo al cuore. Ancora. Restai immobile, mentre il gruppo, sazio di deplorazione, proseguiva. Nino e Anna, ieri e oggi. La fotografia caduta dal libro, la moneta sulla scrivania.., ma questa volta...

Guardavo. Strano. Via, perlomeno era strano. Una serie di coincidenze così serrata. Come se...

“Nino, vieni?”

Teresa mi chiamava, mi volsi sussultando, risposi: “Sì, arrivo” e guardai ancora. Nino e Anna, ieri e oggi. In un cuore. Niente di particolare, si capisce, c’erano dopo tutto schiere di Nino e di Anna che si amavano e visitavano la Certosa. Al diavolo, di una cosa ero certo: quel graffito non era opera mia. Non ero mai stato un moderno vandalo. Ero andato alla Certosa con Anna, chi non ci va?, ma né io né lei...

“Allora, Nino?”

M’affrettai verso il gruppo.
In questo brano è evidente e molto chiara la testimonianza dell'autore che il vandalismo in Certosa non è un fenomeno solo attuale e che già allora si parlava di incuria e di abbandono di questa bellezza architettonica. Continua con costanza, qui e in Italia, l'inesorabile "deriva" dei Monumenti. Oggi, ancor più di ieri, è importante che chi è sensibile a queste tematiche si impegni per cercare di tutelare e proteggere il nostro patrimonio artistico e culturale dai vandali e dagli speculatori.

lunedì 7 novembre 2011

Edilizia criminale

Chi bisogna ringraziare per le vittime delle alluvioni e del dissesto idrogeologico?

Chi ha costruito - o fatto costruire - in modo così criminale?

Gli amministratori hanno le loro responsabilità di sicuro, ma chi ha chiesto loro l'autorizzazione a costruire (quando lo ha fatto) in luoghi che non sono idonei neanche a metterci un gazebo?

I sindaci hanno concesso le autorizzazioni edilizie, qualcuno avrà anche chiesto mazzette.

Ma chi ha costruito? Chi ha regolarizzato o condonato gli abusi edilizi commessi?

Per dare a Cesare quel che è di Cesare, bisogna ricordarsi che i veri responsabili siamo stati noi e i nostri amati concittadini.

Non siamo forse noi, o il nostro vicino di casa, che voleva avere una seconda casa in posti impossibili, magari con vista mare?

Quanti di noi hanno affittato la casa per la villeggiatura al mare o in montagna - e magari qualcuno lo fa ancora (beato lui) - che, volendo magari risparmiare, lo fa in nero?

Chi si arricchisce con la speculazione immobiliare?

Non solo gli amministratori disonesti ma anche tanti nostri amati concittadini.

C'è chi ha cercato anche di risparmiare sui costi ed ha fatto costruire in economia.

Costruire secondo i giusti criteri costa di più.

Con chi è giusto essere incazzati?

Alluvioni in Italia: le colpe dell'edilizia
di Cristian Fuschetto
Dopo Genova, l'emergenza maltempo si è spostata sul Piemonte, ma l'attenzione resta alta anche in altre regioni. Se avessimo costruito in modo più intelligente, si sarebbe potuta evitare la tragedia?
Non è stato il solo maltempo a provocare il disastro in alcune regioni italiane. La Natura è stata solo la scintilla che ha innescato una vera e propria bomba a orologeria costruita, seppur inconsapevolmente, dall’uomo. Sappiamo infatti che nel nostro paese ci sono 6.643 i comuni a rischio idrogeologico, l’82 per cento del totale. “Nonostante questo, non c’è un piano urbanistico che tenga conto della mappatura del rischio idrogeologico”, denuncia Francesca Ottaviani, responsabile di Operazione Fiumi, la campagna di Legambiente e del Dipartimento della Protezione Civile dedicata al rischio idrogeologico nel Paese.
E non è solo una questione di abusivismo, ma è l’andamento stesso del processo di urbanizzazione a mettere in ginocchio città e piccoli centri di fronte ai sempre più frequenti rovesci torrenziali. A guidare la classifica della cementificazione sono Lombardia, Veneto e Campania con una percentuale di superfici artificiali che si stima rispettivamente intorno al 14, l’11 e il 10,7 per cento. Seguono Lazio ed Emilia con il 9. Se aumenta l’asfalto aumenta la superficie impermeabile e se aumenta la superficie impermeabile aumenta il rischio di frane e alluvioni. “ Se poi consideriamo che i processi di antropizzazione del suolo portati avanti negli ultimi decenni si sono concentrati in maniera indiscriminata proprio lungo i corsi fluviali, non devono stupirele le tragiche scene a cui purtroppo abbiamo dovuto assistere in questi gironi”, dice Ottaviani
.

Il punto debole del sistema idrogeologico italiano è rappresentato soprattutto dal cosiddetto reticolo geografico minore, solo apparentemente meno preoccupante e per questo bersaglio preferito per costruzioni regolari e non . “Anche lungo questi corsi – spiega Ottaviani - si è massicciamente costruito, il che è stato un errore gravissimo perché se è vero che i torrenti nel corso dell'anno sono in secca o comunque hanno una portata piccolissima, è vero anche che in presenza di precipitazioni importanti essi amplificano in modo esponenziale portata e rischi. Non è possibile stupirsi ora di cose in sé molto semplici”. Non è possibile eppure gli enti territoriali sono sistematicamente in ritardo rispetto ai monitoraggi idrogeologici. “I piani urbanistici – precisa l’esperta –
ne tengono conto come se si trattasse di indicazioni facoltative, siamo in presenza di un gestione delle acque a dir poco irrazionale”.
Anche il Wwf e il Fai puntano l'indice contro Comuni, Provincie e Regioni. “E’ inoltre il caso di ricordare – dicono in una nota -  che in questi ultimi anni in Italia si è completamente abbandonata qualsiasi azione strutturata per la difesa del suolo: le autorità di bacino, istituite con la preveggente legge 183/89, sono state delegittimate, i Piani di assetto idrogeologico che obbligavano i comuni a considerare il rischio nei loro territori sono stati accantonati e le direttive europee sulle acque (2000/60/Ce) o sul rischio alluvionale (2007/60/Ce) sono ‘lettere inevase’ di uno Stato sempre più lontano dall'Europa”.

Anche un altro rapporto realizzato sempre da Legambiente, in collaborazione con l’ INU, l’Istituto Nazionale di Urbanistica, il rapporto Ambiente Italia 2011, presenta cifre eloquenti: nel Belapese il cemento invade 2 milioni e 350.000 ettari, il 7,6 per cento del territorio nazionale, ovvero  415 metri quadri per abitante. Questo per quel che concerne le costruzioni regolari. Se passiamo all’abusivismo le cose diventano ancora più fosche. Solo in Campania, che detiene il primato del mattone illegale, si calcola che negli ultimi 10 anni siano sorte 60mila case abusive. In pratica un'intera città
A porre il sigillo su una situazione idrogeologicamente, oltre che legalmente e moralmente, insostenibile è Francesco Peduto, presidente dell’ Ordine dei Geologi della Campania.
“Ancora una volta accusiamo la mancanza di manutenzione e di reali azioni di prevenzione pre -evento. Con i nostri legali stiamo valutando di costituirci parte civile nei vari processi per disastro colposo che seguono le diverse sciagure che si susseguono. Accusiamo la mancanza  - spiega - di piani di protezione civile realmente operativi e di piani di emergenza nelle zone ad elevato rischio, previsti dalle normative di settore vigenti, per cui ad ogni tragedia non si sa chi doveva fare cosa e chi è responsabile di cosa. Nel nostro Paese, purtroppo, nel campo della difesa del suolo, si sommano le carenze normative all’inerzia ed agli inadempimenti delle pubbliche amministrazioni e, sia a livello nazionale che regionale il quadro normativo nel settore non è ancora coerente con gli obiettivi di una moderna politica di salvaguardia e tutela dal dissesto idrogeologico”.

sabato 22 ottobre 2011

Leonardo da Vinci alla Certosa di Pavia

Cronaca di un'altra occasione mancata.

Questa notizia arricchisce ancor di più il valore dei tesori che abbiamo ereditato dal passato. Leggere sulla Provincia Pavese che gli studi e le ricerche portano a questi risultati fa piacere. Ho però la sensazione che manchi qualcosa.

Questi studi e ricerche saranno stati senz'altro adeguatamente pubblicizzati nella cerchia degli esperti e degli "addetti ai lavori". Il convegno organizzato sarà stato sicuramente seguito ed apprezzato dagli "esperti del settore" che hanno sicuramente partecipato numerosi: è il proprio lavoro ed é loro dovere farlo.

Lungi da me la tentazione di voler criticare le esigenze della "comunità scientifica", ma sfruttare in modo più appropriato queste occasioni dovrebbe essere per loro un vanto ed un onore. Peccato che un'evento di questa rilevanza sia stato organizzato in giorni feriali. E' come se qualcuno volesse tenerci all'oscuro di queste nostre ricchezze. Non capisco perché non si riesce a dare la possibilità anche a noi "comuni mortali" di poter apprezzare queste opere e condividere questi valori. Che nessuno si lamenti quando si accorge che molti nostri concittadini non si rendono conto di vivere in un Paese ricco di fragili tesori.

Anche ad un'altra cosa penso. Molti studiosi si lamentano della scarsità delle risorse economiche di cui dispongono. Forse un evento di questo tipo poteva essere un'occasione per raccogliere i denari di cui tanto lamentano la scarsità. Che ne so, magari si sarebbe potuta organizzare una mostra a pagamento. La partecipazione di un pubblico più vasto lo avrebbe permesso. E senza sminuire l'importanza della ricerca ne avrebbe anzi amplificato il valore ed accresciuto i meriti di chi studia le nostre opere d'arte.

E' un peccato - in senso strettamente biblico - sprecare i propri talenti. Purtroppo, in questo caso, è andata sprecata un'occasione preziosa di legittimo sfruttamento economico. Scusatemi per la "parolaccia" sfruttamento. In altri contesti - anche artistici, o pseudo tali - vengono "inventati" ad arte eventi "sensazionali" su cose e fatti di nessun valore. Dispiace dirlo, ma sprecare queste opportunità - secondo me - è veramente un peccato.

San Giorgio uccide il drago (Certosa di Pavia)

Ecco la statua di Leonardo - Lo rivela un prof a Certosa
Una statua in terracotta alta non più di mezzo metro attirerà l’attenzione di tutto il mondo sul convegno che si terrà domani alla Certosa. Quando Edoardo Villata dell’università Cattolica svelerà che c’è la mano di Leonardo da Vinci dietro un San Girolamo conservato al Victoria & Albert Museum di Londra, si scateneranno critiche e lodi. Innanzitutto perchè l’attribuzione vinciana di Villata va a scontrarsi con la tesi di un insigne studioso come Sir Pope-Hennessy che la ritenne opera di un alunno del Verrocchio. Ma soprattutto perchè delle tante sculture realizzate da Leonardo (le sue carte e molte fonti antiche testimoniano una sua passione per la terracotta) nessuna è arrivata fino a noi con la certezza di appartenere alla mano del maestro. Il San Girolamo ha una storia travagliata: al museo londinese arrivò grazie all’acquisto della collezione di Giovan Petro Campana marchese di Calvelli, direttore a metà ’800 del Monte dei Pegni di Roma finito in disgrazia proprio per gli sfrenati acquisti di pezzi antichi. «Ma non ci sarà solo la questione Leonardo al convegno – spiega la professoressa pavese Maria Grazia Albertini Ottolenghi che presiederà i lavori – Si parlerà di un tessuto straordinario d’arte nel Ducato di Milano. Un patrimonio che non va per nulla sottovalutato». «Oltre a Leonardo – dice Letizia Lodi, soprintendente del Museo della Certosa – ci saranno altri grandi autori, a cominciare da Giovanni Antonio Amadeo che mise mano al chiostro di San Lanfranco a Pavia. Inoltre si farà una mappatura del grande Rinascimento in Lombardia» Al convegno (ore 9) Donata Vicini interverrà sulle terrecotte dei Musei Civici di Pavia (dei quali è stata direttore). «Parlerò sulle terrecotte architettoniche sugli edifici tra Pavia e Milano nella seconda metà del ’400 - annuncia Maria Teresa Mazzilli dell’ateno pavese – Opere che si trovano nel Seminario di Pavia, ma anche in molti altri monasteri. Un lavoro sul quale mi concentro da dieci anni».
Linda Lucini
dalla Provincia Pavese del 17 ottobre 2011 
«Leonardo scultore, ecco le prove»
Castelli, palazzi e chiese impreziosite da terrecotte. Un patrimonio di cui sono ricche le terre di Lombardia e soprattutto le città sforzesche. E proprio delle “Terrecotte nel Ducato di Milano” si è parlato durante il convegno che ha preso il via lunedì scorso a Milano e il cui proseguimento si è tenuto martedì a Certosa. Si è trattato di un percorso tra formelle e frammenti di terrecotte che sono state ritrovate nell’architettura pavese. Palazzo del Maino, Cascina Caselle, Canepanova, San Lanfranco, il castello Visconteo, solo per ricordare alcuni degli storici edifici arricchiti da «una straordinaria varietà di terrecotte, catalogate nel nostro museo», come ha ricordato durante il convegno Donata Vicini, già direttore dei Musei Civici di Pavia. La terracotta era un materiale privilegiato, impiegato con maggiore frequenza durante ilperiodo del Rinascimento, anche per la sua economicità. E di esempi se ne trovano nell’architettura di quel periodo realizzata tra Certosa e Pavia, come ha spiegato Maria Teresa Mazzilli, docente dell’ateneo pavese, durante il suo intervento sul tema: “Angeli e putti nelle terrecotte architettoniche rinascimentali”. «Si tratta di una tecnica preziosa – sottolinea Mazzilli – legata alla produzione architettonica dell’età sforzesca e che si ritrova in molti cantieri pavesi». Un viaggio tra le terrecotte della Certosa, nel chiostro pilota, ma anche di quelle che si ritrovano nei chiostri di San Lanfranco e del seminario vescovile. Queste hanno rappresentato l’argomento percorso da Letizia Lodi della Soprintendenza ai beni artistici della Lombardia, che ha messo a confronto i diversi restauri effettuati.
dalla Provincia Pavese del 19 ottobre 2011
Leonardo da Vinci scultore.
Un’ipotesi che si rincorre nei secoli. Sono molte le sculture che verrebbero attribuite al grande artista, ma mai nessuna identificata con certezza. Il problema sta tutto “in un nome senza opere”. Nessun accordo è stato raggiunto tra gli studiosi dell’arte in una ricerca che dura nel tempo e a cui hanno partecipato nomi insigni come Sir John Pope-Hennessy, che fu anche direttore del Victoria and Albert Museum di Londra, o Kennet Clark. E proprio dal museo londinese arriva una scultura in terracotta la cui paternità, secondo lo studioso Edoardo Villata, docente dell’Università Cattolica di Milano, potrebbe essere attribuita a Leonardo. In questa statua che raffigura un San Girolamo in meditazione, alta 51 centimetri e larga una quarantina, si ritrovano, secondo lo studioso, la qualità formale, il linguaggio figurativo, le competenze anatomiche di Leonardo da Vinci. «Un’ipotesi di studio», precisa Villata durante il convegno che si è svolto ieri nella sala Carthusiana della Certosa sulle terrecotte nel primo Rinascimento, convegno presieduto da Maria Grazia Albertini Ottolenghi, docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Ma un’ipotesi rafforzata da elementi precisi, come il movimento, fondamentalmente instabile, del busto voltato all’indietro, la struttura che esprime una forza straordinaria, gli ampi panneggi. E poi le linee intense del volto, rapito nella meditazione di un libro, e la mano tra la barba, i cui fiocchi sembrano fuoriuscire dalle dita, come una sorgente che zampilla dalla roccia. «E’ un’idea leonardesca – sottolinea il docente – come la muscolatura sotto sforzo, delineata nella terracotta, che fa pensare alla competenze anatomiche di questo geniale artista. Sono molti i particolari riconducibili alle tipologie leonardesche, quelle che ritroviamo nel Cenacolo». Leonardo avrebbe realizzato l’opera in terracotta nel suo periodo milanese, quando poco dopo il 1480 fu chiamato alla corte del Moro, un impianto grandioso per rappresentare il santo raffigurato durante un momento di studio con le gambe accavallate. Leonardo da Vinci plastificatore, nonostante ritenesse la pittura superiore alla scultura. «Amava modellare, soprattutto la terracotta», sottolinea Villata. Ma il mondo scientifico come ha accolto l’ipotesi di una paternità di Leonardo? «Con grande interesse – ammette Villata – ora bisogna vedere se vi saranno conferme. La ritengo comunque molto probabile». La possibile attribuzione al genio di Leonardo è nata dopo un attento lavoro di catalogazione. «Uno studio durato circa due anni – precisa il docente –. Ma credo che serva un successivo approfondimento». Prima la statua fu attribuita a Verrocchio, maestro di Leonardo, poi, nel 1966 Sir Pope-Hennessy la declassò ad opera di un suo seguace, finchè si sostenne che fu realizzata da uno scultore fiorentino Giovan Francesco Rustici, autore del gruppo bronzeo con la Predica del Battista, all’esterno del battistero di San Giovanni, a Firenze. Il San Girolamo fu acquistato dal South Kensington Museum di Londra, ora Victoria and Albert, faceva parte della collezione di Giovan Pietro Campana, marchese di Calvelli, direttore del Monte dei pegni di Roma nella metà dell’800, finito in miseria per i suoi sfrenati acquisti di opere antiche.
Stefania Prato

mercoledì 14 settembre 2011

PALIO CARTHUSIANO 2011 di Certosa di Pavia

“Stare insieme procura gioia”

Il 23, 24 e 25 settembre 2011, nell'occasione della Sagra di San Michele Arcangelo, il Comune di Certosa di Pavia - con la collaborazione delle associazioni locali - ha organizzato il Palio Carthusiano 2011

Partecipano ai giochi del Palio sei squadre, che rappresentano i 6 rioni e frazioni di Certosa di Pavia.
Ogni gruppo - composto da 19 persone - avrà uno stendardo con i propri colori. Le squadre si cimenteranno in diverse gare e tornei. Alla vincente sarà consegnato lo stendardo raffigurante il Palio Carthusiano 2011.
Tutte le famiglie sono invitate a trascorrere insieme questo palio in allegria...
Siete pronti a divertirvi con noi?
Ecco il programma...
Al campo sportivo di CASCINE CALDERARI, venerdì 23 sera dalle ore 20.00 e sabato 24 pomeriggio, con inizio alle ore 15.00 verrà disputato un "Torneo di Calcetto" a 7 giocatori
Nelle strade di TORRIANO, alle ore 20.30 di sabato 24 sera, le 6 squadre correranno una gara di "Staffetta con Fiaccola"

All'Oratorio San Riccardo Pampuri a CERTOSA - TORRE DEL MANGANO, durante tutta la giornata di domenica 25 settembre si svolgerà un intenso programma che prevede:
  • alle ore 11.00 la Santa Messa
  • alle ore 12.00 una sfilata di automobili FIAT 500 d’epoca
  • alle ore 12.30 il pranzo conviviale (per prenotare telefonare a Cristina 3384605322, dalle 19.30 alle 21.00)
  • alle ore 15.30 i giochi finali con le 6 squadre
  • al termine dei giochi la consegna del Palio Carthusiano 2011 ai vincitori
Per i bimbi più piccoli saranno disponibili i GONFIABILI
Chi volesse partecipare alle gare del Palio può ricevere ulteriori informazioni in Oratorio.
Per le iscrizioni alle squadre, contattare direttamente i capitani.

Le squadre ed i loro capitani sono:
CERTOSA OVEST - Angelo
CERTOSA EST - Giorgio
CERTOSA SUD - Cristian
CASCINE CALDERARI - Maikol
SAMPERONE - Casa del Giovane
TORRIANO - Gabriele

I responsabili del Palio sono:
MARIO
FRANCA
Si ringraziano gli sponsor ed i sostenitori della manifestazione

martedì 9 agosto 2011

Il deserto della Certosa di Pavia
(una speculazione edilizia del XIV secolo)

Sembra che certi argomenti siano diventati di strettissima attualità e, a sostegno di quanto detto l'altro giorno da Alberto Arecchi, ripubblico un mio post che avevo già scritto a novembre del 2010, quando mi capitò di leggere un bell'articolo di Giorgio Boatti dedicato alla Certosa di Pavia.

Oggi lo spunto mi viene da quello che ho letto domenica 7 agosto 2011 sempre sulla Provincia Pavese, in un paradossale (ma forse non poi così tanto) articolo di fantacronaca. Il finale potrebbe anche realizzarsi. Non temete, non c'è mai limite al peggio.

Chi resta con le pive nel sacco è chi ha usato questo monumento e questo territorio come merce di mero scambio per cose che sembra siano diventate più rarefatte ed illusorie di un miraggio nel deserto. Chi ci ha condotto a questo punto, speriamo di non ritorno, rischia di fare la fine del protagonista del "Deserto dei Tartari" - il tenente Drogo - il quale con le proprie ferme convinzioni ed i propri ideali visionari si illude che la difesa del suo avamposto potesse cambiare il destino dell'umanità ed avesse un senso. La vita del tenente si è così consumata in una assurda speranza di poter cambiare il destino di ciò che non poteva essere cambiato. Come nel romanzo le illusioni di Drogo hanno vanificato la sua vita e il suo ideale astratto - di altissimo valore, sarebbe molto brutto e spiacevole scoprire che chi disse di voler bene a questo paese potrebbe averne invece determinato il male peggiore.

Quando, nel 2012, il paese andò all'asta

L'agente edile del Comune di Certosa di Pavia, durante un sopralluogo, ha casualmente identificato un'enorme costruzione abusiva, edificata in assenza di concessione edilizia; è stata inoltrata ai proprietari comunicazione di accertamento per abuso edilizio. Dal rapporto dell'agente edile risulta che: «Il vasto complesso abusivo comprende alcuni cortili a più piani e un compound di villette unifamiliari, per n. 21 unità, disposte intorno ad una vasta corte comune. Le villette appaiono disabitate, ma non si può escludere che di esse si sia svolto un mercato illegale. Dalla ricerca catastale, è emerso che le stesse opere abusive sorgono su area pubblica, di proprietà demaniale». L'esperto ambientale ha negato l'autorizzazione paesaggistica in sanatoria, perché le altezze di talune parti risultano decisamente superiori alle massime consentite. La costruzione è infatti coronata da un alto tiburio e da diverse guglie, difformi rispetto ai caratteri generali dell'edilizia locale, improntati allo stile della "cascina lombarda". La Commissione edilizia ha infine stabilito di concedere una sanatoria, a condizione che "…vengano demolite tutte le parti che superano i m 10,57 d'altezza rispetto al piano di campagna, soppressi gli archi acuti delle finestre, che tutte le ornamentazioni - improntate ad esagerata ridondanza - siano ricondotte alla sobria modestia ed all'uniformità stilistica degli edifici rurali". Così iniziò, il 12 gennaio del 2012, la radicale "messa a norma" dell'abuso che la gente dei dintorni chiamava "Certosa di Pavia". Il complesso edilizio fu lottizzato e venduto al miglior offerente, sulla base della norma del "silenzio - assenso", dopo che erano trascorse 14 ore e 24 minuti senza che lo Stato esercitasse il diritto di prelazione. Alberto Arecchi L’autore, architetto, pur operando all'estero in progetti di auto-sviluppo, si è dedicato con passione alla conoscenza della storia e dei monumenti pavesi.

Qui di seguito riporto integralmente il mio precedente post.
La speculazione edilizia a Pavia nel XIV secolo

Quando ho iniziato a scrivere sul questo blog mi sono riproposto di cercare notizie storiche meno note rispetto a quelle che si trovano abitualmente sui libri di storia e geografia che descrivono la chiesa, il chiostro e le opere d'arte della Certosa di Pavia.

Una cosa è la descrizione dei luoghi, altra cosa è riflettere sugli aspetti, diciamo di "contorno" connessi a queste Grandi Opere del passato. E' interessante analizzare le vicende sociali ed economiche che hanno contribuito a costruire la nostra realtà, comprese le complesse e problematiche vicende che oggi dobbiamo risolvere quando dobbiamo affrontare il tema della "conservazione" del nostro inestimabile patrimonio storico-artistico.

Per questo è interessante la lettura dell'articolo, firmato da Giorgio Boatti, pubblicato sulla Provincia Pavese di domenica 28 novembre 2010.

La moderna "rivisitazione" storica della Battaglia di Pavia del 1525
(San Genesio - settembre 2008)
Quella pessima idea di Gian Galeazzo
Se la macchina del tempo potesse riportarci indietro di qualche secolo, bisognerebbe dirlo, a Gian Galeazzo Visconti - Conte di Virtù (da Vertus, città della Champagne, che gli viene portata in dote da Isabella di Valois), Duca di Milano, signore di Pavia e di qualche altra decina di città disseminate tra il Nord e il Centro della Penisola - che far erigere come sua ultima dimora la Certosa era una pessima idea.
D’accordo, Galeazzo pensava in grande e aveva la “malattia del mattone”. Come tutti i signori del Biscione - simbolo che allora era dei Visconti e tuttavia per strani paradossi ancora oggi pare destinato ad accompagnare chi da Milano non rinuncia a stendere i suoi possessi su ogni orizzonte - non badava a mezzi pur di rimarcare la propria supremazia sopra tutti. Gian Galeazzo prima di mettere mano alla Certosa, mobilitando il meglio degli artisti disponibili al tempo, aveva fatto della sua dimora pavese la più sfarzosa residenza principesca d’Europa. Con una biblioteca, andata poi dispersa, che aveva incantato uno come il Petrarca che, quanto a libri, qualcosa ne sapeva. Tutto questo aveva preso posto tra le mura del castello di Pavia, fatto costruire da suo padre in pochissimi anni, grazie a un’avveniristica tecnica costruttiva.  Quale? Quella per la quale, se i capomastri non rispettavano la tabella di marcia dei lavori, o non li eseguivano a regola d’arte, con i più stretti collaboratori finivano impiccati ad un cappio annodato ai ponteggi. Una soluzione che, se fosse ancora in vigore oggi, decorerebbe di illustri appesi la facciata del Broletto di Pavia, in perenne restauro da anni.  Oppure l’interminabile cantiere dell’ex-monastero di Santa Chiara, da una ventina d’anni prossima sede della biblioteca comunale di Pavia. O tante altre opere iniziate e mai finite. E infrastrutture penalizzate dall’assenza di assennata manutenzione.  Comunque, oltre ad alloggiare bene, Gian Galeazzo voleva anche che la propria anima fosse adeguatamente accudita. Da lì l’idea della Certosa e dei santi monaci che avrebbero dovuto pregare per lui, e per tutta la sua famiglia, in quel monumento che è diventato uno dei simboli significativi della stessa civiltà lombarda.  Una presenza d’arte e bellezza che richiama ancora oggi tantissimi visitatori (e la prima cosa seria, per provvedere a un realistico piano di rilancio turistico e culturale del territorio imperniato sulla Certosa, sarebbe verificare il loro numero. Smetterla di sparare dati a casaccio). Di certo i visitatori sono tanti. Vengono. Visitano. Vanno. E non lasciano nulla, o quasi nulla, al Comune di Certosa. Alla vicina Pavia. Al territorio circostante, vale a dire quel parco Visconteo che adesso pare solo un succedersi di tangenziali e insediamenti vari ma dove c’è ancora la cascina Repentita che fu il perno della battaglia di Pavia del 1525, quella in cui cadde prigioniero re Francesco I, consegnando la supremazia d’Europa alla Spagna per un bel po’ di anni.  Poco avanti c’è pure quel Castello dove, seguendo l’esempio vigevanese del “Progetto Leonardo”, non sarebbe impossibile, utilizzando la tecnologia digitale oggi disponibile, far rivivere la splendida biblioteca viscontea andata sparsa per tutte le corti d’Europa e che a sua tempo fece sognare Petrarca.  Certo, la Certosa è un simbolo oneroso. Lo dice l’assessore alla Cultura del Comune di Certosa e ha ragione. La Certosa - se la si subisce e non la si trasforma in una asset dinamicamente gestito, inserito in una più vasta concertazione di rilancio - è un peso che, aggiuge il sindaco, dà più oneri negativi che onori.  Forse sarebbe meglio smetterla con questi piagnistei e con le ripicche (anche rispetto all'assessorato provinciale al Turismo che, forse unica eccezione nell'immobilismo della giunta Poma, non rinuncia caparbiamente a fare quanto è possibile per rilanciare questo territorio).  Un tempo, quando a Pavia c’era una sede regionale ben radicata al territorio provinciale e sempre attiva nell'incentivare gioco di squadra per valorizzare opportunità, in questa situazione si sarebbe organizzato un “tavolo territoriale” proprio sui punti di forza e di debolezza rappresentati dalla Certosa. Si sarebbero chiamati a confronti enti locali, pubbliche amministrazioni, università e operatori privati e, perché no?, anche i santi monaci e magari la diocesi. Il tutto per delineare uno scenario di iniziative dove il monumento voluto da Gian Galeazzo e l’offerta turistica e culturale di Pavia, il vuoto di divulgazione attorno alla battaglia di Pavia e la necessità di far tornare la Certosa non solo una meta d’arte ma anche un pulsante centro spirituale, sarebbero punti irrinunciabili di partenza.  E’ troppo chiedere che - invece di procedere per polemiche e lamentazioni - si prenda questa strada? Di tempo se n’è perso parecchio. Per fortuna che Galeazzo riposa per sempre nel suo sacello. Altrimenti - vista la fallimentare tabella di marcia e le inadempienze di tutti - lungo la strada da Certosa a Pavia non mancherebbero penzolanti “testimonial” degli errori compiuti. Oscillanti nella bruma di un inverno che, per la Certosa e Pavia, non è mai riuscito a sbocciare in una convincente e generosa primavera.
Giorgio Boatti

giovedì 28 luglio 2011

da Pavia a Certosa sottoterra

Il cunicolo, sotterraneo segreto dal Castello Visconteo alla Certosa esiste davvero: lo afferma l’architetto Alberto Arecchi, che sostiene di aver rintracciato, in foto satellitari trovate su Earth Google, programma specializzato del motore di ricerca, la prova della possibile presenza del manufatto nella zona tra San Genesio, Borgarello e la Certosa. “Le Immagini dice l’architetto editore storico ricercatore rivelano una parte di tracciato sotterraneo che percorre esattamente quello che io ho indicato come il passaggio segreto dal Castello alla Certosa”. Sono anni che Arecchi, appassionato cultore di storia e indagatore del territorio, è sulle tracce del famoso cunicolo, che di tanto in tanto torna agli onori delle cronache. “Earth Google - spiega Arecchi - consente di vedere, in foto scattate dal satellite e con eccezionale ingrandimento, qualsiasi punto della terra. E’ possibile riconoscere persino le auto. Ho esaminato le immagini fornite dal sito e ho potuto accertare, nella zona tra San Genesio, Borgarello e la Certosa, la presenza di tracce, di macchie chiare e scure sotterranee, corrispondenti rispettivamente a zone asciutte e umide. In particolare, balza chiaramente all'attenzione dell’osservatore un tratto di tracciato sotterraneo, attualmente pieno d’acqua, della lunghezza di 300 400 metri, che si trova nella zona prossima all'insigne monumento”.
Arecchi fornisce la foto in questione, evidenziando la posizione del presunto manufatto con due righe parallele da lui tracciate a sud ovest della Certosa. “Ritengo – continua l’architetto – che possa trattarsi effettivamente di una parte del sottopassaggio segreto voluto dai Visconti nel quattordicesimo secolo. E questo innanzitutto a causa della posizione del manufatto, che coincide con il tracciato che doveva avere il cunicolo secondo i miei studi”
Oltre al presunto cunicolo e alle zone umide, la foto satellitare evidenzia, secondo Arecchi, “forme di tipo ellittico ancora presenti nei tracciati catastali: potrebbe trattarsi o di anse di antichi fiumi dall'asse di cinquecento metri o di preesistenze religiose antecedenti l’età romana. La mia esperienza nello studio di tali strutture risale a poco meno di quarant'anni fa: nel 1969 ebbi modo di effettuare rilevamenti del genere nella zona di Trino Vercellese”. 
Ma non è finita qui. Le foto satellitari della zona a nord di Pavia lasciano emergere, secondo l’architetto, “tracce delle linee delle fortificazioni, risalenti probabilmente al 1655, l’anno dell’assedio francese a Pavia presidiata dagli spagnoli.
La ripresa dell’interesse per la vicenda 40 anni dopo il misterioso blitz nella cascina
“Galeotto” fu il Tesoro dell’Antipapa.
Quanto vado scoprendo dimostra che occorre riprendere le ricerche e gli studi sul cunicolo segreto a nord di Pavia”.
a cura di Alberto Arecchi dal sito www.liutprand.it

martedì 14 giugno 2011

Centocinquanta

Il 17 febbraio del 2009 ho iniziato a scrivere su questo blog. Volevo solo mettere nero su bianco i miei pensieri. Ogni tanto mi capita di rileggere qualcosa. E, come in un diario, c'è un filo conduttore. 

Sono i piccoli passi, tanti piccoli passi, che, uno dopo l'altro, fanno belle le cose.

Come nei versi del poeta Kavafis, citati dal mio amico Roberto Dadda, è che non si deve voler affrettare il viaggio, perchè se sarà lento e pieno di insidie sarà fertile in avventure e in esperienze.

Molti si dimenticano (o peggio, molti non lo sanno) che la bellezza nella meta è dentro nelle difficoltà del cammino che percorriamo. Solo così si riesce a vivere una realtà che vale la pena di essere vissuta ancor prima che ricordata. Ho avuto la fortuna di incontrare, nel mio breve cammino della vita, tante persone che hanno arricchito di bellezza questo mio "viaggio".

Molte persone hanno questi "valori". Tra i tanti penso all'amico Giovanni Giovannetti e i suoi compagni di viaggio, in cammino a piedi da Milano a Napoli, per (ri)scoprire, ricucire ed amare una realtà che quest'anno festeggia i 150 anni di difficile, ma non impossibile, unità sotto un'unica bandiera: l'Italia.

illustrano e raccontano, giorno dopo giorno, il viaggio.

Qui di seguito altri importanti spunti di riflessione (da movimentolento)

Camminare, un gesto trasgressivo

Chi viaggia a piedi di città in città, ad esempio lungo la Via Francigena e il Cammino di Santiago, si riappropria di spazi dai quali l’uomo moderno si è ritirato da alcune decine di anni.
Oggi, in Italia, una persona che cammina sul bordo di una strada provinciale con uno zaino sulle spalle viene spesso guardata come se passeggiasse in costume da bagno nel centro di Milano.
Il senso comune ammette la presenza di donne e uomini seminudi lungo una spiaggia o in una piscina, così come ammette la presenza di camminatori vestiti da trekking lungo un sentiero di montagna o al limite in un parco. E chi esce dai confini stabiliti dalla cultura dominante compie un gesto trasgressivo, con il fascino e i rischi che ciò comporta.
Anche se il pedone secondo la legge è il primo utente della strada (nel senso che è il primo ad essere citato nell’articolo 1 del Codice della Strada), e anche se il transito pedonale è ammesso lungo la stragrande maggioranza delle strade italiane, il cartello che indica la fine di un centro urbano rappresenta per chi cammina una moderna versione delle colonne d’Ercole. Chi lo supera si espone a un rischio, poiché oltre quel segnale nessuno prevede la sua presenza.
Innanzitutto chi ha progettato la strada ha lavorato per far viaggiare veloci e sicuri i veicoli a motore, non certo per proteggere gli incauti pedoni. In secondo luogo gli automobilisti non hanno la percezione della loro velocità e della pericolosità della tonnellata di metallo che guidano. Infine il pedone stesso si crede più visibile di quanto in realtà sia, e tende a sopravvalutare la buona educazione e le capacità di guida degli automobilisti. 
Questi ultimi in genere lo vedono come un ostacolo che rallenta la loro marcia, un intruso nel loro territorio. Un territorio dal quale “l’uomo bianco” si è ritirato da alcuni decenni, lasciandolo in balia della modernità. Un territorio in cui in tempi recenti si avventurano quasi esclusivamente i migranti africani ed asiatici.
Nel loro Paese sono ancora abituati a viaggiare a piedi, e le loro strade, anche se importanti e trafficate, prevedono quasi sempre un’ampia banchina con un sentiero su cui possono camminare in sicurezza uomini ed animali. Quindi se decidono di camminare non è solo perché non hanno la possibilità economica di usare altri mezzi, ma perché la loro cultura non considera disdicevole né bizzarro percorrere qualche chilometro a piedi per raggiungere un villaggio vicino. 
Il presidio del territorio
In questo senso hanno molto da insegnarci: ritirandoci dalle “terre di mezzo”, abbiamo rinunciato a presidiare un territorio prezioso, che è stato utilizzato in modo sregolato e disordinato da chi ha speculato sulla nostra assenza.
Chiusi in scatole  lanciate a cento chilometri all’ora, vediamo le nostre periferie come un male necessario, da superare in tempi rapidi. Non ci soffermiamo sulla bruttura delle zone artigianali, invase dai capannoni prefabbricati e dai centri commerciali che costeggiano per chilometri qualunque via di comunicazione, consumando ettari di territorio e deturpando definitivamente il paesaggio. Chiusi nell’utero ovattato della nostra auto, veniamo isolati dal mondo esterno da cristalli che filtrano tutto: luce, freddo, caldo, rumori, profumi, puzze.
Vediamo una nuova circonvallazione e ne apprezziamo la scorrevolezza, senza renderci conto che magari per costruirla è stata deturpata una zona di pregio paesaggistico, e che comunque il territorio è stato tagliato da una barriera spesso insormontabile per chi cammina, poiché difficilmente viene previsto un passaggio pedonale. 
Chiusi nelle nostre auto non notiamo le discariche abusive che nascono come i funghi sui bordi delle strade asfaltate o in mezzo alle strade campestri, pavimentate per centinaia di metri con le macerie depositate da muratori irresponsabili.
Chiusi nelle nostre auto, ci ritiriamo da un territorio che non percepiamo più come bene comune. Il dogma della proprietà privata ci ha fatto dimenticare l’importanza di beni fondamentali per la collettività; l’atrofia del nostro sguardo ci impedisce di comprendere che uno scempio estetico compiuto da un privato ignorante o in malafede sul proprio terreno può avere conseguenze devastanti sul paesaggio, che oltre ad essere un bene collettivo è una delle principali risorse economiche del nostro Paese.

sabato 4 giugno 2011

Quando si parla di mobilità (2)

Non è la prima volta che mi capita di scrivere di mobilità sostenibile.

Qui su queste pagine - in diverse occasioni - l'ho già fatto.

Ho ricordato quello che rappresentò il collegamento ferroviario del "Gamba de Legn" tra Pavia e Milano.

Mi sono illuso, come tanti miei altri colleghi pendolari, quando fu fatta una proposta per un nuovo ed innovativo collegamento interrurbano, ma fu subito prontamente smentita.

Spero di non ricadere nella delusione di non vedere realizzate le ennesime promesse fatte per nuovi collegamenti ferroviari interurbani tra Pavia e Milano.

Accantonando questi aspetti spiacevoli, mi fa piacere constatare che c'è ancora chi crede ancora al promesso bike-sharing nel Parco Visconteo e che si impegna a farlo facendo piccoli grandi passi uno dietro l'altro. La "rete" di piste ciclabili a Certosa di Pavia" sta crescendo e si sta sviluppando.

la ciclabile di Via Montale a Certosa di Pavia
L'unica cosa che posso fare adesso è sottolineare le piacevolezze che sono riservate a chi va in bicicletta sperando di incontrare sempre più persone con cui condividere il cammino.

mercoledì 1 giugno 2011

Ne vale la pena (Armando Spataro)

Lunedì sera Armando Spataro ha descritto episodi che non ho mai dimenticato. Anch'io ho una certa età. Milano degli anni '70 era la mia vita di adolescente. Il racconto fatto sembra provenire da un'altra dimensione. Da un'epoca lontana, per molti, nel tempo e nello spazio. Il suo racconto è denso di aneddoti e particolari, non si ascoltano le fredde cronache giornalistiche di Brigate Rosse, di magistrati uccisi, di terrorismo internazionale. Il suo racconto è lucido e vivo, è pieno di particolari che danno spessore a queste pagine di storia vissuta in prima persona.

Negli anni '70 ero adolescente a Milano. Piazza Po. Parrocchia del Gesù Buon Pastore (G.B.P. per gl'intimi). Gruppo ASCI Milano XIX Martin Luter King, squadriglia Aquile. Ero scout. Gli amici erano la cosa più importante e c'erano giornate in cui non ci si poteva incontrare perché non ci si poteva muovere liberamente. I genitori erano assillanti. Dove vai? Con chi sei? Chi vedi? Non c'erano telefoni cellulari e le notizie non circolavano con la velocità di oggi. Anche i genitori meno ansiosi si preoccupavano di quello che si sentiva dire dal passaparola e dalle radio, dalle quali capitava spesso di ascoltare la cronaca di morti ammazzati. Erano appena nate le prime radio private in FM, con bassi costi di impianto e gestione. Le radio private, che all'epoca erano quasi illegali perché senza vere e proprie licenze, erano quello che oggi si può paragonare ad internet. Le radio private erano il nuovo mondo. Erano l'ultima frontiera della comunicazione. Potevi telefonare e andare in onda senza "filtro". A Radio Milano Centrale e Radio Milano Libera si poteva ascoltare la musica che non avevi mai sentito alla radio pubblica. A Radio Stramilano potevi chiacchierare anche di notte e chiedere la tua musica preferita. Andavo agli studi di Radio A, la radio della diocesi, dove lavorava un amico scout. Le radio libere facevano anche informazione. Molte facevano anche propaganda politica. Radio Popolare a sinistra, Radio University a destra.

A volte mi è capitato di trovarmi in situazioni che oggi sono impensabili.

Il ricordo assomiglia ad un sogno. E tutto ciò che accade lascia il segno. 

Per andare e tornare da scuola prendevo i mezzi pubblici. Un sabato mattina c'era una manifestazione in centro. Capitava spesso in quegli anni. Quella mattina non circolavano i tram e si torna a casa a piedi. Non c'era traffico e camminavo sempre di buon passo; ero scout, ci ero abituato. Come al solito cercavo di percorrere la strada più breve e veloce. Passai, come al solito, da Via De Amicis. Come al solito ascoltavo con attenzione i rumori lontani. Sentivo, in lontananza, i rumori di una manifestazione. A tutto ci si riesce ad adattare e abituare. Poi, col tempo, ti rendi conto che non si trattava di cose proprio così "normali".

Tornato a casa, come al solito, accesi la radio e cercai di capire, sintonizzandomi sulle varie stazioni, cosa fosse accaduto. Non c'erano tante possibilità di avere notizie se non ascoltare le radio libere.

Era il 14 maggio del 1977 e solo alla sera si ebbero le notizie ufficiali dalla RAI che confermavano quello che avevo già sentito nel pomeriggio. Dopo circa mezz'ora da dove ero passato quella mattina, proprio lì, in Via De Amicis, il poliziotto Custrà era andato incontro alla morte. Quel corteo non doveva passare di lì.

Quel poliziotto non aveva nessun motivo per morire così. Nessuno può morire così.

Ma tutto si sedimenta dentro e quello che resta è la ferma consapevolezza è che ricordare queste cose ne vale, veramente, la pena.

La serata è stata moderata dall'avv. Luca Milani, dottorando di Procedura Penale presso
l'Università di Pavia e allievo del compianto giurista e professore Vittorio Grevi.
Incontro con il procuratore Armando Spataro
Il gruppo scout AGESCI Pavia 4, in collaborazione con la comunità Casa del Giovane, ha organizzato, nel Salone del terzo Millennio in via Lomonaco 43, un incontro con Armando Spataro, procuratore della Repubblica aggiunto del tribunale di Milano.
La serata sarà l'occasione, oltre che per presentare il libro "Ne valeva la pena", scritto dal magistrato, di parlare di costituzione, diritti e giustizia. Si toccheranno vari temi, dal caso Tobagi, alle Brigate Rosse, alla 'ndrangheta al Nord, ripercorrendo gli ultimi trent'anni di storia giudiziaria italiana. Il libro di Spataro ha come spina dorsale l'inchiesta sul caso Abu Omar, l'imam egiziano che venne sequestrato a Milano il 17 febbraio del 2003 dai servizi segreti americani in accordo con esponenti dei servizi italiani. Abu Omar fu poi trasferito al Cairo e lì sottoposto a torture per estorcergli informazioni: come il Parlamento Europeo e il Consiglio d'Europa hanno dichiarato, le indagini compiute in Italia lo hanno reso il caso meglio documentato di abusi compiuti in nome della lotta al terrorismo. La vicenda Abu Omar - con molti retroscena svelati in queste pagine - è una delle tante inchieste svolte da Armando Spataro in 34 anni di attività professionale, dalle indagini sulle Brigate Rosse e Prima Linea a quelle sulla 'ndrangheta trapiantata in Lombardia, per finire con quelle sul terrorismo internazionale. Armando Spataro racconta il suo impegno e quello di tanti altri colleghi a difesa della Costituzione, ripercorre ragioni e contenuti delle leggi ad personam. Una storia popolata di ricordi dolorosi e di facce ambigue, ma anche di persone amate e di esempi di coerenza, fino al sacrificio della vita.

giovedì 26 maggio 2011

Il Canto degli Italiani (2)

Il Nabucco è un componimento poetico scritto dal poeta Temistocle Solera che Verdi musicò. La vicenda narra la storia del popolo ebraico e della loro prigionia nell'antico Egitto dei faraoni.

La storia narrata nell'opera, in estrema sintesi, è questa:
Gli Ebrei a Gerusalemme si lamentano per il loro destino perché sono stati sconfitti dal re di Babilonia, Nabucco. Zaccaria, pontefice di Gerusalemme, cerca di risollevare l’umore degli Ebrei.
La figlia del faraone, Fenena, viene catturata e controllata da Ismaele, nipote del re di Gerusalemme.
Lei, però, si innamora di Ismaele e anche lui di lei. Cercano di fuggire insieme. A rovinare il loro piano ci pensa l’altra figlia di Nabucco e anche lei innamorata di Ismaele, Abigaille, che scoprendo la loro fuga minaccia Fenena. Fenena si converte all'ebraismo e, diventata governatrice della città di Gerusalemme, libera tutti gli schiavi ebrei.Abigaille entra con la forza in Gerusalemme con un piccolo esercito.
A questo punto arriva il faraone che riprende la corona e maledice il Dio degli Ebrei.
Appena dice queste parole viene però fulminato e cade a terra.Abigaille prende la corona, si dichiara nuova regina e condanna a morte tutti gli Ebrei.
Nabucco sa che così morirà anche sua figlia Fenena e si converte anche lui all'ebraismo pregando Dio di aiutarlo. 
Una parte dell’esercito quando vede che Nabbuco sta di nuovo bene lo aiuta contro Abigaille.
Nabucco riprende la corona e Abigaille si avvelena chiedendo perdono. Zaccaria predice che Nabucco governerà su tutti i popoli della terra.
L'opera è del 1842 e solo in seguito all'unità d'Italia, gli esponenti del risorgimento e il popolo videro in questo canto i sentimenti in cui identificare la loro ribellione alla dominazione austroungarica.

La famosa aria cantata dal popolo ebraico è una sorta di preghiera che rivolge verso la loro Patria, la famosa terra promessa.

Va, pensiero, sull'ali dorate;

va, ti posa sui clivi, sui colli

ove olezzano tepide e molli
l'aure dolci del suolo natal!
Del Giordano le rive saluta,
di Sionne le torri atterrate.
Oh, mia patria sì bella e perduta!
Oh, membranza sì cara e fatal!
Arpa d'or dei fatidici vati,

perché muta dal salice pendi?

Le memorie nel petto raccendi,
ci favella del tempo che fu!
O simile di Solima ai fati
traggi un suono di crudo lamento,
o t'ispiri il Signore un concento
che ne infonda al patire virtù!
In molte occasioni questa aria è stata proposta come inno nazionale italiano, e c'è chi dice che "se nell'Ottocento lo si cantava a Milano o a Pavia era per invocare l'unità e la libertà della Patria Italiana."

Chi afferma ciò è Lucio Toth che - in Friuli, a nome della Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani Fiumani e Dalmati - rincara e continua affermando che "in fatto di italianità e di venezianità non accettiamo lezioni da nessuno, perché ne siamo maestri. Nelle nostre cerimonie cominciamo sempre con l'Inno di Mameli, e concludiamo sempre i nostri incontri, tristi e lieti, con i nostri figli e nipoti intonando il Và pensiero. Che è rivolto alla nostra Istria, al Quarnaro, alla Dalmazia, quelle sì - conclude - belle e perdute".

Comunque sia e comunque la si possa pensare, resta il fatto che l'Italia, unita da 150 anni, non ha ancora trovato una propria identità vera e "creduta" da tutti.
La dimostrazione è nella realtà che vediamo attorno a noi.

All'atto pratico, nella vita di tutti i giorni, non mi sembra vedere tutto questo attaccamento e dedizione alla nostra patria.

Penso a tutti i miei compatrioti (si diceva così, una volta) che lavorano "duramente" e che "onestamente" evadono le tasse o eludono il fisco. E' da queste cose che si vede quanto questo "popolo italico" ami la propria patria.

E' in queste dimostrazioni di "affetto" al proprio personale tornaconto che essi dimostrano di non fregarsene nulla del "bene comune" per i propri connazionali.

Anche per questo è importante imparare a cantare in coro, tutti insieme, l'inno della nazione italiana.


E' per questo che serve ancora ribadire sui banchi di scuola questi concetti.

Forse un giorno saremo una nazione veramente unita da un ideale comune, non lo so, ma io ci credo ancora.
Certosa, gli studenti sul palcoscenico per ricordare i 150 anni dell’Unità d’Italia
Uno spettacolo degli studenti delle scuole primaria e secondaria di primo grado per ricordare il 150º anniversario dell’Unità d’Italia. L’appuntamento è giovedì sera, alle ore 21,30, negli spazi dell’oratorio.
Negli spazi dell’oratorio verrà messa in scena «Va pensiero», rappresentazione che nasce dalla collaborazione dell’assessorato all'istruzione con l’istituto didattico comprensivo di Certosa. La manifestazione culturale si inserisce in un più ampio progetto, voluto dall'Amministrazione comunale guidata dal sindaco Corrado Petrini, per coinvolgere sempre più i giovani nella vita del territorio. «E’ questo l’obiettivo con cui qualche anno fa è nato il consiglio comunale dei ragazzi - spiega l’assessore Maria Vittoria Sereni - è costituito da studenti che, non solo vogliono conoscere meglio i meccanismi della pubblica amministrazione, ma intendono anche partecipare in veste di protagonisti a manifestazioni ed eventi organizzati dal Comune».
A partecipare allo spettacolo, organizzato grazie all'aiuto degli insegnanti, saranno gli alunni delle quinte classi della scuola elementare. Con loro ci saranno anche gli studenti delle scuole medie di Certosa.
Stefania Prato

dalla Provincia Pavese del 24 maggio 2011