google.com, pub-1908550161261587, DIRECT, f08c47fec0942fa0 Pensieri sparsi: Il deserto della Certosa di Pavia (una speculazione edilizia del XIV secolo)

martedì 9 agosto 2011

Il deserto della Certosa di Pavia
(una speculazione edilizia del XIV secolo)

Sembra che certi argomenti siano diventati di strettissima attualità e, a sostegno di quanto detto l'altro giorno da Alberto Arecchi, ripubblico un mio post che avevo già scritto a novembre del 2010, quando mi capitò di leggere un bell'articolo di Giorgio Boatti dedicato alla Certosa di Pavia.

Oggi lo spunto mi viene da quello che ho letto domenica 7 agosto 2011 sempre sulla Provincia Pavese, in un paradossale (ma forse non poi così tanto) articolo di fantacronaca. Il finale potrebbe anche realizzarsi. Non temete, non c'è mai limite al peggio.

Chi resta con le pive nel sacco è chi ha usato questo monumento e questo territorio come merce di mero scambio per cose che sembra siano diventate più rarefatte ed illusorie di un miraggio nel deserto. Chi ci ha condotto a questo punto, speriamo di non ritorno, rischia di fare la fine del protagonista del "Deserto dei Tartari" - il tenente Drogo - il quale con le proprie ferme convinzioni ed i propri ideali visionari si illude che la difesa del suo avamposto potesse cambiare il destino dell'umanità ed avesse un senso. La vita del tenente si è così consumata in una assurda speranza di poter cambiare il destino di ciò che non poteva essere cambiato. Come nel romanzo le illusioni di Drogo hanno vanificato la sua vita e il suo ideale astratto - di altissimo valore, sarebbe molto brutto e spiacevole scoprire che chi disse di voler bene a questo paese potrebbe averne invece determinato il male peggiore.

Quando, nel 2012, il paese andò all'asta

L'agente edile del Comune di Certosa di Pavia, durante un sopralluogo, ha casualmente identificato un'enorme costruzione abusiva, edificata in assenza di concessione edilizia; è stata inoltrata ai proprietari comunicazione di accertamento per abuso edilizio. Dal rapporto dell'agente edile risulta che: «Il vasto complesso abusivo comprende alcuni cortili a più piani e un compound di villette unifamiliari, per n. 21 unità, disposte intorno ad una vasta corte comune. Le villette appaiono disabitate, ma non si può escludere che di esse si sia svolto un mercato illegale. Dalla ricerca catastale, è emerso che le stesse opere abusive sorgono su area pubblica, di proprietà demaniale». L'esperto ambientale ha negato l'autorizzazione paesaggistica in sanatoria, perché le altezze di talune parti risultano decisamente superiori alle massime consentite. La costruzione è infatti coronata da un alto tiburio e da diverse guglie, difformi rispetto ai caratteri generali dell'edilizia locale, improntati allo stile della "cascina lombarda". La Commissione edilizia ha infine stabilito di concedere una sanatoria, a condizione che "…vengano demolite tutte le parti che superano i m 10,57 d'altezza rispetto al piano di campagna, soppressi gli archi acuti delle finestre, che tutte le ornamentazioni - improntate ad esagerata ridondanza - siano ricondotte alla sobria modestia ed all'uniformità stilistica degli edifici rurali". Così iniziò, il 12 gennaio del 2012, la radicale "messa a norma" dell'abuso che la gente dei dintorni chiamava "Certosa di Pavia". Il complesso edilizio fu lottizzato e venduto al miglior offerente, sulla base della norma del "silenzio - assenso", dopo che erano trascorse 14 ore e 24 minuti senza che lo Stato esercitasse il diritto di prelazione. Alberto Arecchi L’autore, architetto, pur operando all'estero in progetti di auto-sviluppo, si è dedicato con passione alla conoscenza della storia e dei monumenti pavesi.

Qui di seguito riporto integralmente il mio precedente post.
La speculazione edilizia a Pavia nel XIV secolo

Quando ho iniziato a scrivere sul questo blog mi sono riproposto di cercare notizie storiche meno note rispetto a quelle che si trovano abitualmente sui libri di storia e geografia che descrivono la chiesa, il chiostro e le opere d'arte della Certosa di Pavia.

Una cosa è la descrizione dei luoghi, altra cosa è riflettere sugli aspetti, diciamo di "contorno" connessi a queste Grandi Opere del passato. E' interessante analizzare le vicende sociali ed economiche che hanno contribuito a costruire la nostra realtà, comprese le complesse e problematiche vicende che oggi dobbiamo risolvere quando dobbiamo affrontare il tema della "conservazione" del nostro inestimabile patrimonio storico-artistico.

Per questo è interessante la lettura dell'articolo, firmato da Giorgio Boatti, pubblicato sulla Provincia Pavese di domenica 28 novembre 2010.

La moderna "rivisitazione" storica della Battaglia di Pavia del 1525
(San Genesio - settembre 2008)
Quella pessima idea di Gian Galeazzo
Se la macchina del tempo potesse riportarci indietro di qualche secolo, bisognerebbe dirlo, a Gian Galeazzo Visconti - Conte di Virtù (da Vertus, città della Champagne, che gli viene portata in dote da Isabella di Valois), Duca di Milano, signore di Pavia e di qualche altra decina di città disseminate tra il Nord e il Centro della Penisola - che far erigere come sua ultima dimora la Certosa era una pessima idea.
D’accordo, Galeazzo pensava in grande e aveva la “malattia del mattone”. Come tutti i signori del Biscione - simbolo che allora era dei Visconti e tuttavia per strani paradossi ancora oggi pare destinato ad accompagnare chi da Milano non rinuncia a stendere i suoi possessi su ogni orizzonte - non badava a mezzi pur di rimarcare la propria supremazia sopra tutti. Gian Galeazzo prima di mettere mano alla Certosa, mobilitando il meglio degli artisti disponibili al tempo, aveva fatto della sua dimora pavese la più sfarzosa residenza principesca d’Europa. Con una biblioteca, andata poi dispersa, che aveva incantato uno come il Petrarca che, quanto a libri, qualcosa ne sapeva. Tutto questo aveva preso posto tra le mura del castello di Pavia, fatto costruire da suo padre in pochissimi anni, grazie a un’avveniristica tecnica costruttiva.  Quale? Quella per la quale, se i capomastri non rispettavano la tabella di marcia dei lavori, o non li eseguivano a regola d’arte, con i più stretti collaboratori finivano impiccati ad un cappio annodato ai ponteggi. Una soluzione che, se fosse ancora in vigore oggi, decorerebbe di illustri appesi la facciata del Broletto di Pavia, in perenne restauro da anni.  Oppure l’interminabile cantiere dell’ex-monastero di Santa Chiara, da una ventina d’anni prossima sede della biblioteca comunale di Pavia. O tante altre opere iniziate e mai finite. E infrastrutture penalizzate dall’assenza di assennata manutenzione.  Comunque, oltre ad alloggiare bene, Gian Galeazzo voleva anche che la propria anima fosse adeguatamente accudita. Da lì l’idea della Certosa e dei santi monaci che avrebbero dovuto pregare per lui, e per tutta la sua famiglia, in quel monumento che è diventato uno dei simboli significativi della stessa civiltà lombarda.  Una presenza d’arte e bellezza che richiama ancora oggi tantissimi visitatori (e la prima cosa seria, per provvedere a un realistico piano di rilancio turistico e culturale del territorio imperniato sulla Certosa, sarebbe verificare il loro numero. Smetterla di sparare dati a casaccio). Di certo i visitatori sono tanti. Vengono. Visitano. Vanno. E non lasciano nulla, o quasi nulla, al Comune di Certosa. Alla vicina Pavia. Al territorio circostante, vale a dire quel parco Visconteo che adesso pare solo un succedersi di tangenziali e insediamenti vari ma dove c’è ancora la cascina Repentita che fu il perno della battaglia di Pavia del 1525, quella in cui cadde prigioniero re Francesco I, consegnando la supremazia d’Europa alla Spagna per un bel po’ di anni.  Poco avanti c’è pure quel Castello dove, seguendo l’esempio vigevanese del “Progetto Leonardo”, non sarebbe impossibile, utilizzando la tecnologia digitale oggi disponibile, far rivivere la splendida biblioteca viscontea andata sparsa per tutte le corti d’Europa e che a sua tempo fece sognare Petrarca.  Certo, la Certosa è un simbolo oneroso. Lo dice l’assessore alla Cultura del Comune di Certosa e ha ragione. La Certosa - se la si subisce e non la si trasforma in una asset dinamicamente gestito, inserito in una più vasta concertazione di rilancio - è un peso che, aggiuge il sindaco, dà più oneri negativi che onori.  Forse sarebbe meglio smetterla con questi piagnistei e con le ripicche (anche rispetto all'assessorato provinciale al Turismo che, forse unica eccezione nell'immobilismo della giunta Poma, non rinuncia caparbiamente a fare quanto è possibile per rilanciare questo territorio).  Un tempo, quando a Pavia c’era una sede regionale ben radicata al territorio provinciale e sempre attiva nell'incentivare gioco di squadra per valorizzare opportunità, in questa situazione si sarebbe organizzato un “tavolo territoriale” proprio sui punti di forza e di debolezza rappresentati dalla Certosa. Si sarebbero chiamati a confronti enti locali, pubbliche amministrazioni, università e operatori privati e, perché no?, anche i santi monaci e magari la diocesi. Il tutto per delineare uno scenario di iniziative dove il monumento voluto da Gian Galeazzo e l’offerta turistica e culturale di Pavia, il vuoto di divulgazione attorno alla battaglia di Pavia e la necessità di far tornare la Certosa non solo una meta d’arte ma anche un pulsante centro spirituale, sarebbero punti irrinunciabili di partenza.  E’ troppo chiedere che - invece di procedere per polemiche e lamentazioni - si prenda questa strada? Di tempo se n’è perso parecchio. Per fortuna che Galeazzo riposa per sempre nel suo sacello. Altrimenti - vista la fallimentare tabella di marcia e le inadempienze di tutti - lungo la strada da Certosa a Pavia non mancherebbero penzolanti “testimonial” degli errori compiuti. Oscillanti nella bruma di un inverno che, per la Certosa e Pavia, non è mai riuscito a sbocciare in una convincente e generosa primavera.
Giorgio Boatti