google.com, pub-1908550161261587, DIRECT, f08c47fec0942fa0 Pensieri sparsi: Un brano di Mino Milani per la Certosa

domenica 11 dicembre 2011

Un brano di Mino Milani per la Certosa

Questa nota nasce dalla mia recente visione del film "Fantasma d'amore" tratto dal romanzo scritto nel 1977 da Mino Milani.

Il film, diretto da Dino Risi, narra la storia di un uomo, Nino (Marcello Mastroianni) che, per puro caso, incontra sull'autobus la sua prima fidanzata Anna (Romy Schneider).

Le immagini dei primi anni '80 fotografano i luoghi di Pavia e di altri luoghi della provincia pavese, moderni e antichi allo stesso tempo, che sono ancora chiaramente riconoscibili..
La curiosità mi ha spinto a leggere il romanzo, che ho facilmente preso in prestito nella biblioteca di Certosa di Pavia.

Non voglio però raccontare qui la storia e le tragiche vicissitudini dei personaggi, ma cercare un'altra chiave di lettura.

Come purtroppo spesso accade, l'adattamento al cinema sacrifica molto dell'opera originale.

Un brano del romanzo, infatti non è stato ripreso dal film.

La storia raccontata dall'autore pavese è densa di tanti altri messaggi e ricche suggestioni. Mi ha colpito molto, proprio nel primo capitolo, leggere un brano che riguarda molto da vicino il Monumento della Certosa di Pavia.

E' di una eccezionale attualità.

Mi sono permesso di trascriverlo qui di seguito e vi invito a leggerlo, facendo attenzione che Mino Milani lo scrisse nel 1977.
Il giorno dopo ci fu la visita alla Certosa: “Lo so che è un sacrificio, per te, ma mi spiacerebbe se la gente pensasse che tu ci snobbi e, guarda, dovresti proprio venire” mi aveva detto Teresa. Sì, certo; le avevo proposto di andarci in automobile, avremmo potuto dare un passaggio a qualcuna delle socie più anziane, per esempio, o a monsignore. Ma lei fu irremovibile: era stato noleggiato l’autobus, e si sarebbe andati in autobus, si trattava di sette chilometri, infine, e lei era la presidentessa, me ne ricordavo? Sì, certo, me ne ricordavo, e così feci il viaggio in piedi, per lasciare seduta questa o quella signora. In piedi con me c’erano altri mariti, sorridenti, soddisfatti e infaticabili nella conversazione. Un paio di volte colsi lo sguardo di Teresa, che si posava su di me un po’ perplesso e un po’ preoccupato, e accennai, allora, e sorrisi a dire che tutto andava bene e che il sacrificio non era poi così grosso.

“La vedo un po’ stanco, caro dottore”mi disse il professor Neri, in piedi accanto a me. Ma guarda questo scemo, pensai.

“Eh, che vuole, professore? Il lavoro”

“E gli anni. Ogni anno ne passa uno”

“Non ci si scappa”

“Ma lei è ancora tanto giovane! Ah, conosce il ragionier Chiarini?” ed era la terza volta che mi presentavano il ragionier Chiarini, marito di una consigliera.

“Molto onorato” dissi.

Il professor Neri spiegò “Il dottore è marito della nostra presidente” e il ragionier Chiarini fece un breve inchino.

E intanto eravamo arrivati e si cominciava a scendere, nel grande piazzale, con i pioppi altissimi - un ultimo pennacchio di foglie gialle, lassù in cima, contro il cielo azzurrino.

Guidò la visita un frate, tonaca bianca e nera, aria furbetta.

Rispondeva alle domande sicuro e paziente, illustrava con autorità, scioltezza, ampi gesti eleganti, andando di quadro in quadro, di angolo in angolo, con passo svelto, e noi lo seguivamo aggruppati e timorosi di perdere qualche sua parola. Un accidente. Perché quello scemo di professor Neri mi aveva trovato un po’ stanco? Be’, forse un po’ lo ero, sì: ma avrei voluto vedere lui, lavorare come lavoravo io. Del resto, d’accordo, un certo periodo di riposo m’avrebbe fatto bene.

Eravamo ora davanti a un grande affresco, e il frate accennava, levando il braccio, con la tonaca che ricadeva elegante a scoprirgli il polso, e diceva: “...ma qui, anche una testimonianza opposta: quella cioè della inciviltà di un popolo. Il buio dopo la luce, ma questa forse è una espressione troppo forte. Ne troveremo un’altra, insieme. Loro avranno veduto come, alle statue dei bassorilievi e delle sculture sulla facciata, manchino le teste... Sì: la testa, staccata dal fondo, è più esposta al danneggiamento, ma..” una pausa, le mani aperte e levate “ma in verità, quelle teste non ci sono più non a causa, o meglio non solo a causa degli incidenti occorsi nei secoli, del logorio, dell’invecchiamento, diciamo naturale d’ogni cosa creata... quelle teste mancano perché sono state rubate. Sissignori. .. cioè, sissignore : rubate. Le figure delle fasce marmoree sono state decapitate”.

Il frate attese che si tacesse il solito mormorio di raccapriccio, e continuò: “Ma almeno, allora, si trattava di furti sacrileghi, nel senso che i visitatori erano persuasi, nella loro fede, di portarsi a casa delle reliquie, portandosi appresso quelle teste. Ora, invece, a parte il saccheggio delle opere d’arte, i furti nei musei e nelle gallerie... e tutti a fini non certo religiosi!, oh, ora non si visita più un monumento di fede, quale è precisamente questo, non dimentichiamolo, per senso religioso!... Guardate qui : graffiti. Ne sentiamo parlare : american graffiti, naturalmente... e ce li troviamo in casa! No, no: non abbiamo nulla da imparare! Sanno?, noi italiani dovremmo mettere tutto sotto vetro e sotto grata, sotto chiave, insomma. Graffiti! Guardino: con un chiodo, un temperino, che so?, una forcina per capelli, guardino quanti visitatori hanno scritto qui il loro nome! Guardino” e faceva scorrere l’indice affusolato su quel reticolo biancogrigio di nomi, di date, di segni, che occupava la parte più bassa dell’affresco.

Qualcuno alle mie spalle disse, sopra il brusio scandalizzato che si faceva sentire: “Io pubblicherei tutti questi nomi in un libro, avvertendo: ecco i nomi dei nuovi vandali!”.

“Giusto!”

“Macché libro! Multe, ci vogliono, e salate! Costringerli a pagare le spese di restauro!”

“Eh, ma bisognerebbe prenderli sul fatto!”

“Per me, basterebbero più guardiani”

“Che facciano il loro dovere, sì”

“Ecco,” aveva ripreso il frate “ecco l’idiozia, parola grossa, ma mi permettano di usarla, l’idiozia di certa gente « Pietro R., 23 maggio 1968»... Evidentemente questo signor Pietro si sentiva molto importante. E questo? «Luigi Bellotti fece» Capiscono?... Fece: come scrivevano i grandi pittori! Si vanta, anche, questo signor Bellotti!” ed era diventato quasi un gioco, e le signore del circolo si protendevano a leggere nomi e date; e il frate continuava: «Angelo e Marisa, cinque mars»... marso: anche gli errori d’ortografia, ora... e questi?, questi che si giurano amore, con i nomi contornati da un cuore?... Guardino:«Nino e Anna, ieri e oggi»”.

Li avevo visti mentre li leggeva, un istante prima. Quei nostri nomi, Nino e Anna, ieri e oggi. Una luce obliqua. Un senso di stupore rinnovato e profondo, un attonito, lieve tuffo al cuore. Ancora. Restai immobile, mentre il gruppo, sazio di deplorazione, proseguiva. Nino e Anna, ieri e oggi. La fotografia caduta dal libro, la moneta sulla scrivania.., ma questa volta...

Guardavo. Strano. Via, perlomeno era strano. Una serie di coincidenze così serrata. Come se...

“Nino, vieni?”

Teresa mi chiamava, mi volsi sussultando, risposi: “Sì, arrivo” e guardai ancora. Nino e Anna, ieri e oggi. In un cuore. Niente di particolare, si capisce, c’erano dopo tutto schiere di Nino e di Anna che si amavano e visitavano la Certosa. Al diavolo, di una cosa ero certo: quel graffito non era opera mia. Non ero mai stato un moderno vandalo. Ero andato alla Certosa con Anna, chi non ci va?, ma né io né lei...

“Allora, Nino?”

M’affrettai verso il gruppo.
In questo brano è evidente e molto chiara la testimonianza dell'autore che il vandalismo in Certosa non è un fenomeno solo attuale e che già allora si parlava di incuria e di abbandono di questa bellezza architettonica. Continua con costanza, qui e in Italia, l'inesorabile "deriva" dei Monumenti. Oggi, ancor più di ieri, è importante che chi è sensibile a queste tematiche si impegni per cercare di tutelare e proteggere il nostro patrimonio artistico e culturale dai vandali e dagli speculatori.