sabato 4 dicembre 2010

Gian Galeazzo e il mistero nella Certosa di Pavia

In questi ultimi tempi si è fatto un gran parlare della Certosa di Pavia. Ormai sembra un fiume in piena, almeno sulle colonne dei quotidiani. Leggendo le notizie sui giornali si scopre che sono tanti gli estimatori della storia pavese, fonte prolifica di notizie e curiosità.
Come annotavo nel post precedente, con l'articolo di Giorgio Boatti del 28 novembre 2010 si dimostra che la nostra realtà odierna è il frutto delle intricate vicende accadute in passato.
In tutte le epoche storiche, inevitabilmente, si trovano misteri e segreti che, forse, non verranno mai svelati. In questo post raccolgo il contributo di un appassionato lettore che, stimolato dalla lettura del citato articolo di Giorgio Boatti sulla Provicia Pavese, prende spunto per scrivere una interessante lettera al quotidiano proprio in merito ad un intricato enigma. La storia si fa intrigante e si potranno, in futuro, aggiungere altri particolari a questi misteri.


Il "biscione" visconteo

Giancarlo Mainardi (Pavia) alla Provincia Pavese del 2 dicembre 2010

E’ LUI O NON E’ LUI?

Assai interessante l’articolo di Giorgio Boatti sulla nostra Certosa e sul Gian Galeazzo Duca di Milano e Signore di Pavia. Come è risaputo, la storia è fatta anche di contro storia, ossia di fatti secretati al momento, nascosti dietro un paravento, e riemersi parecchi decenni o secoli dopo gli accadimenti. Così le cronache ci raccontano che Gian Galeazzo si rifugiò nel castello di Melegnano per sfuggire al contagio della peste, ma malgrado le diverse cure vi morì nel settembre 1402. La salma era ormai infetta e per prudenza le esequie si celebrarono nel Duomo di Milano con il corpo assente. La paura era molta, e pregare davanti ad una salma appestata, e altresì scoperta come si usava all’epoca, venne giudicata cosa pericolosa per i fedeli e soprattutto per i nobili colleghi venuti da ogni dove.  E da qui in avanti la storia assume l’aspetto di un gossip poiché da appunti segreti di un paio di monaci, poi ripresi dagli storici pavesi Bernardino Corio e Giacinto Romano, pare che la salma del Duca venne cremata nascostamente e nella ricca bara in legno e bronzo venne posta una salma non infetta di uno sconosciuto pavese morto in quei giorni. Pochissimi erano a conoscenza del segreto e la bara ormai sigillata venne traslata per poco tempo in San Pietro in Ciel d’Oro per poi essere tumulata nello splendido sepolcro in marmo della Certosa.  E allora è lui o non è lui? Non si sa... Se diamo credito agli appunti dei monaci viventi all’epoca, non è lui, ma anche così fosse, credo che ormai non importi più a nessuno. Seguo ancora il pensiero di Boatti sulla biblioteca viscontea e su un eventuale progetto di digitalizzazione. Splendida idea, dopo due secoli potremmo riavere almeno in immagine quel tesoro del sapere che Napoleone ci rubò nel 1796. Da quella predazione si salvò un solo volume: un Virgilio annotato di mano dal Petrarca, casualmente depositato in casa di un pavese, Messer Fulvio Orsino, e poi comprato dal Cardinale Borromeo e affidato alla Biblioteca Ambrosiana. Il destino del volume probabilmente era sfortunato, ripredato da Napoleone finì alla Biblioteca Nazionale di Parigi dove la preziosa legatura in velluto e argento venne sostituita da un’altra in pelle azzurra con una grande N sul fronte. Dopo serrati contatti diplomatici ci venne restituito solo nel 1815 ed oggi è ancora visibile all’Ambrosiana. Per il resto della biblioteca invece i francesi hanno sempre risposto che «si tratta di preda di guerra e... pertanto ce li teniamo». Beh, vive la france... In minuscolo, naturalmente.