«All'alba di un mondo che speravamo nuovo, in un tempo difficile e duro, molte illusioni sono cadute, molte occasioni sfuggite perché i nostri legislatori hanno guardato al passato e hanno mancato di coerenza o di coraggio. L’Italia procede ancora nel compromesso, nei vecchi sistemi del trasformismo politico, del potere burocratico, delle grandi promesse e delle modeste realizzazioni. Riconosciamo francamente una mancanza di idee, una carenza di uomini, una crisi di partiti».
Questo è l’incipit di "Democrazia senza partiti" di Adriano Olivetti (1949, Edizioni di Comunità).
Oggi i partiti sono entità ingombranti. Hanno perso tutti i valori che avevano le potenti organizzazioni ideologiche che elaboravano linguaggi e visioni del mondo, che imponevano con successo interminabili discussioni sulle formule politiche, la «programmazione democratica», il «compromesso storico» o la «terza fase». I partiti oggi non sono più pilotati da oligarchie ben strutturate, ma sono diventati «partiti personali», aggregazioni dai nomi incerti.
Gli scritti di Olivetti si scagliavano con energia contro i robusti «partiti organizzativi di massa», nati nell'ottocento con il socialismo tedesco. Olivetti riscopriva le riserve sui partiti politici di Rosmini, di Gioberti, di Minghetti e di Piero Gobetti, che in tempi diversi avevano denunciato la tendenza di queste entità politiche a favorire gli amici, a ingerirsi nella vita pubblica, ad opprimere gli avversari, a condizionare la giustizia.
Simone Weil, filosofa pacifista e mistica in "Appunti per la soppressione dei partiti politici" scriveva che i partiti anglosassoni contengono un elemento giocoso nella competizione che ne rivela l’origine aristocratica, mentre i partiti europei sono terribilmente seri, il che ne rivela l’origine plebea. I giacobini inaugurano la gloriosa tradizione per cui la formula vincente è «un partito al potere tutti gli altri in prigione»: i partiti sono «macchine di passione collettiva» che opprimono il pensiero individuale e perpetuano se stesse. Con loro trionfa la menzogna, «una lebbra che si può superare solo con la loro soppressione».
«Nessuna fiducia a un governo dei partiti» sostiene il M5S e, come disse euforico il cittadino Andrea Cioffi «demoliamo il nostro ego per metterlo al servizio dell’Idea». L’Idea. Favoloso. Chi pensa a sé è fuori dal gioco. Spirito di sacrificio? Altro non è che disciplina di partito e sottomissione ai capi. Questa battuta sarebbe piaciuta a un bolscevico. Simone Weil ci avrebbe visto tracce della «lebbra» descritta sopra. Questa è la contraddizione, come lo è la proiezione utopistica del governo di Gaia che, nel 2054, vedrà il trionfo della Rete nei video animati di Casaleggio. La saggezza unificata mondiale che risolve problemi e non conosce dissensi. Un mondo in cui partiti politici, ideologie e religioni spariscono.
«Quali le conseguenze di questo nuovo tipo di regime rappresentativo in relazione al nostro tema? È possibile una vita politica senza partiti? Come si trasformerà in tal caso la politica?», chiede Olivetti. Risposta: «Il compito dei partiti politici sarà esaurito e la politica avrà un fine quando sarà annullata la distanza tra i mezzi e i fini, quando cioè la struttura dello Stato e della società giungeranno a un’integrazione, a un equilibrio per cui sarà la società e non i partiti a creare lo Stato. Questo è il compito che si è assunto il Movimento Comunità (che fu un movimento politico a tutti gli effetti a partire dal 1953 a livello locale, e dal 1958 a quello nazionale): tracciare una via atta a dimostrare che è possibile uno Stato senza partiti».
Si giunge così a «una nuova idea di sovranità, che si distacca sostanzialmente dagli immortali principi della rivoluzione del 1789 che legava l’idea di sovranità all'idea di suffragio universale». Non a caso è proprio il tema della sovranità, e di come muti in un’epoca in cui i partiti hanno perso la fiducia da parte dei cittadini, a rappresentare il cardine della riflessione di Revelli. In crisi è l’istituto della delega. Il docente di Scienze Politiche, in occasione dei referendum del giugno 2011 su acqua e nucleare, scriveva che sono il segno di una «rivendicazione di ri-appropriazione di ciò che è comune da parte della comunità: dei cittadini che ne rivendicano l’inalienabilità, al di là di ciò che possono decidere i loro rappresentanti politici».
È un «ricupero di sovranità», scrive Revelli, l’indicatore che la sfera pubblica è più ampia di quella politica. Come sancisce la Corte Costituzionale (sentenza 199/2012, 20 luglio 2012) in una «prospettiva di integrazione degli strumenti di democrazia diretta nel sistema di democrazia rappresentativa delineato dal dettato costituzionale». E, per evitare l’esito della volontà popolare sia vanificato (art. 75 Cost.), si afferma l’esistenza di «una sfera di decisione pubblica ‘protetta’ dall'intrusione della stessa rappresentanza parlamentare (dai protagonisti esclusivi della ‘democrazia rappresentativa’) qualora su di essa si fosse manifestata nelle forme costituzionali previste una esplicita ‘volontà popolare’ (del soggetto principe della ‘democrazia diretta’)». Peccato che poi l’esito referendario per il finanziamento ai partiti venga disatteso, e la volontà espressa nelle leggi di iniziativa popolare ignorata.
Olivetti ricorda che il problema, in sostanza, si riduce a un’unica questione: «non chiedete nulla, ma solo e soltanto che l’unica libertà che lo Stato e i partiti vi riconoscono a parole, quella di scegliervi i vostri rappresentanti, non sia una mistificazione. Giacché il mandato politico, nella sua vera essenza, è solo e soltanto un atto di fiducia degli uomini in un uomo». E invita a trovare una via mediana tra la rappresentanza come la conosciamo oggi e la dittatura della maggioranza in tempo reale come quella che vorrebbe Grillo. Revelli situa il tutto nel contesto più ampio di una democrazia «oltre» i partiti, ricordando che «il nesso tra la democrazia e la ‘forma-partito’ così come essa si è struttura nell'ultimo sessantennio non è affatto (…) esclusivo e indissolubile». Se ne discuta, insomma: è tempo.
La soluzione di Olivetti è vaga e terribilmente impregnata della «supremazia della Chiesa nel dominio dei valori spirituali», cui anche il laico dovrebbe volontariamente piegarsi. Ha tuttavia il pregio di ricordarci che la democrazia rappresentativa è agonizzante e gettarsi nelle braccia della «democrazia istantanea» imbevuta di utopie non è l’unica soluzione. Quando Grillo e Casaleggio citano il testo di Olivetti nel blog lo fanno per nobilitare la «guerra» ai partiti, ma non si rendono conto che si tratta di una alternativa al loro stesso modello.
Il problema è molto più ampio, bisogna valutare tutte le possibilità una a una, nel dettaglio; è indispensabile prima di ritrovarci con una democrazia tutta nuova, ma peggiore di quella attuale.
Democrazia senza partiti |