sabato 15 settembre 2012

Vita monacale e democrazia

La “Regola benedettina” è ancora viva e attuale all'interno delle mura monastiche.

Il modello organizzativo delineato da san Benedetto nella sua Regola non è un “pezzo di antiquariato”.

Molte imprese e organizzazioni dovrebbero capire che "Ora et Labora", la Regola, è ancora efficace ed applicabile e, per certi aspetti, molto innovativa. San Benedetto - e oggi i suoi monaci - con il loro modo di vivere ed esistere propongono questo messaggio, forte e chiaro.

Il mondo, in fondo in fondo, è sempre lo stesso, i barbari sono alle porte, non vestono pelli, hanno abiti eleganti e parlano in modo colto, ma sono sempre loro. Dove passano resta devastazione e cenere.

Solo con una generazione di “nuovi monaci” potrebbe nascere una nuova Italia, una nuova Europa e un nuovo mondo, dove sarebbe più bello vivere e lavorare.

Se le varie organizzazioni umane private e pubbliche fossero gestite seguendo questi principì, prenderebbero decisioni sicuramente più sagge e lungimiranti.

64. Dell’elezione dell’abate
dalla Regola di san Benedetto
Nell'elezione dell'abate si segua il criterio di costituire in tale ufficio colui che sia stato scelto da tutta la comunità concordemente secondo il timor di Dio, o anche solo da una parte di essa, sia pure piccola, ma con più savio consiglio.
Chi poi dev'essere costituito abate sia scelto in base alla dignità della vita e alla scienza delle cose spirituali, anche se fosse l'ultimo nell'ordine della comunità.
Se invece i monaci anche tutti d'accordo eleggessero non sia mai una persona che consentisse ai loro vizi, e tali vizi venissero per qualunque via a sicura conoscenza del vescovo alla cui diocesi quel luogo appartiene, o degli abati o dei cristiani vicini,  essi impediscano che prevalga il concorde volere dei cattivi e stabiliscano un degno amministratore alla casa di Dio: sapendo che ne riceveranno copiosa mercede, se lo faranno con rettitudine d'intenzione e per zelo dell'onore di Dio, mentre al contrario commetterebbero una colpa se non se ne curassero.
Chi poi è stato costituito abate, pensi sempre qual peso s'è addossato e a chi dovrà render conto della sua gestione. Sappia che è suo dovere più il giovare che il comandare. Bisogna dunque ch'egli sia versato nella conoscenza, della legge divina, perché abbia la perizia e la materia per trarre insegnamenti nuovi e antichi; sia casto, sobrio, indulgente e sempre faccia prevalere la misericordia sulla giustizia, per meritare anche lui lo stesso. Odii i vizi, ami i fratelli.
Anche nel punire agisca con prudenza, e sia attento a non eccedere, perché non avvenga che mentre vuol troppo raschiare la ruggine, si rompa il vaso: consideri sempre con diffidenza la sua fragilità e ricordi che la canna percossa non bisogna spezzarla. Con ciò non intendiamo dire che permetta il fomentarsi dei vizi, ma che deve stroncarli con prudenza e carità, secondo che gli parrà più conveniente per ciascuno, come già dicemmo; e si sforzi d'essere amato piuttosto che temuto.
Non sia turbolento ed agitato, non sia petulante ed ostinato, non geloso e troppo sospettoso, perché non avrebbe mai pace; negli stessi suoi comandi sia previdente ed assennato, e tanto se la cosa ch'egli impone è d'indole spirituale, quanto se riguarda gli affari temporali, egli proceda con discernimento e moderazione, tenendo presente la discrezione del santo patriarca Giacobbe che diceva: Se i miei greggi li farò stancare troppo a camminare, mi morranno tutti in un solo giorno.
Seguendo dunque questi ed altri ammaestramenti della discrezione, la quale è madre delle virtù, regoli tutto in modo che i forti abbiano di che esser bramosi e i deboli d'altra parte non si sgomentino.
E soprattutto serbi intatta in ogni punto la presente Regola, perché, dopo aver bene amministrato, possa udire dal Signore ciò che udì il buon servo che aveva dispensato il frumento ai suoi compagni nel tempo opportuno.
In verità vi dico (egli afferma), gli diede potere sopra tutti i suoi beni.