google.com, pub-1908550161261587, DIRECT, f08c47fec0942fa0 Pensieri sparsi: I doveri di chi amministra la "cosa pubblica"

lunedì 17 gennaio 2011

I doveri di chi amministra la "cosa pubblica"

Chi amministra la "cosa pubblica" ha il dovere di non danneggiarla e di non permettere che qualcun'altro lo faccia.

Chi amministra la "cosa pubblica" ha il dovere di prendersi cura degli interessi di tutti i cittadini e non solo di quello di pochi.

Chi amministra la "cosa pubblica" ha il dovere civico di conservarla e non può permettere che l'interesse di pochi distrugga il "bene comune".

Chi amministra la "cosa pubblica" ha il dovere di impedire tutte le azioni che causano più danni che benefici.

Chi amministra la "cosa pubblica" ha il dovere di sapere quali saranno i "costi sociali" provocati dai progetti che autorizza.

Chi amministra la "cosa pubblica" deve essere come un buon padre di famiglia che difende il suo figlio più debole da quello più prepotente e malvagio.

Chi non si comporta in questo modo è degno di essere chiamato Amministratore?

Questo lavoro è così difficile che le scelte finali non dovrebbero essere lasciate a chi viene di fatto "ricattato" da "poteri" più forti di lui. L'errore più grave che si può fare in questi casi è quello di essere costretti a scegliere il male minore, quando invece si deve riuscire a pretendere il bene maggiore per tutti.

Dov'è e chi è l'arbitrro?


Serve un bel fischio del rigore
16 gennaio 2011
I tempi, il contesto, gli sconcertanti supporti con cui la proposta di Centro Commerciale a Borgarello ha ottenuto semaforo verde sottolineano tre gravi aspetti della severa crisi della rappresentanza politica in atto in provincia di Pavia. Nonché in buona parte delle sue istituzioni locali e nelle sue leadership di partito.
Rispetto ai tempi è indicativo come questo progetto di centro commerciale, che da oltre due lustri veleggia sopra una vasta area di Borgarello, riesca a decollare proprio mentre l’amministrazione di quel Comune è nelle mani non dei rappresentanti eletti dai cittadini ma di un commissario designato dal prefetto. E questo per le conseguenze dello svolgersi della nota inchiesta giudiziaria.
 Tra quattro mesi le urne decideranno chi reggerà Borgarello per i prossimi cinque anni. Ma, evidentemente, centoventi giorni di attesa devono essere sembrati troppi lunghi a qualcuno. Così la decisione sicuramente più rilevante mai assunta per il destino di Borgarello, e non solo di Borgarello, vista la vastità dell’area coinvolta, viene presa in una situazione di rappresentanza azzoppata. Sancisce un fatto rilevantissimo e lo fa in assenza di un sindaco, di una giunta, di un consiglio comunale. E’ vero che gli amministratori di Borgarello avevano fatto in tempo a varare il progetto. Lo avevano fatto con una fretta indiavolata, appena prima di tornare a casa. Però - e forse questo lo si capisce solo adesso - in questo modo stavano rendendo l’ultimo servizio alla proposta di centro commerciale il cui dossier è arrivato davanti al Ponzio Pilato, o ai variegati Pilati che lo dovevano autorizzare, portato da una figura «neutrale» quale quella del commissario prefettizio.
 Veniamo ora al contesto. Il contesto è «pilatesco». Ovvero contraddistinto da un vuoto di potere in cui tutti si lavano le mani pur avendo le mani in pasta nell’elaborazione di questa scelta. Un elemento ulteriormente implementato dal fatto che anche l’amministrazione provinciale, che pure un ruolo ben diverso avrebbe potuto avere nella questione, è prossima al rinnovo. Tra centoventi giorni va alle urne. Anche lì sarà una giostra di volti vecchi e nuovi che si palleggeranno responsabilità trascorse e neutralità sospette. Una situazione dunque dove l’ambiguità pare la rotta migliore. Dove ai politici più navigati sembra saggio esserci e non esserci. Lasciando che altri si spendano per allargare il varco - adesso o mai più - ad un progetto che per cento e una ragione avrebbe dovuto essere respinto.
 E qui si giunge agli sconcertanti supporti. A preziosi alleati che nelle persone dei sindaci, targati partito democratico, di Certosa e di Giussago, fanno di fatto da levatrici al centro commerciale di Borgarello. Non una parola da parte loro sull’impatto devastante del progetto su Pavia e una vasta area del Pavese. Non un solo argomento che contesti gli scenari autorevolmente evocati sulle conseguenze negative circa la qualità dello sviluppo territoriale e il tracollo ulteriore di una viabilità già in grave affanno. In nome di calcoli legati a ristretti benefici territoriali per le loro località i due sindaci Pd si inchinano a una scelta che divora territorio e incrementa una spirale di un lavoro sempre più precario. E dove il saldo occupazionale, realisticamente, non sarà affatto positivo.
 Il progetto di centro commerciale - ormai è chiaro - ha camminato su piste dove le impronte di uno schieramento, e del suo fronte opposto, hanno mescolato i passi. E pare essere riuscito a toccare l’agognato traguardo. Nonostante lo sdegno furente degli amministratori locali di Pavia e di San Genesio. Alla faccia dei gelidi fulmini sui reprobi che i vertici del Pd pavese fanno calare sui sindaci «disobbedienti» che però rimangono nel loro partito. E coi quali si sta fianco a fianco persino in giunte, come quella di Giussago, di cui lo stesso segretario provinciale del Pd è parte significativa.
 A questo punto sarebbe salutare un chiarimento forte e chiaro che dall’uno e dall’altro schieramento sancisca un impegno netto e duraturo contro tempi, contesto e sconcertanti supporti che hanno dato semaforo verde al centro commerciale di Borgarello.
 Forse è ancora possibile far sentire - tutti assieme - un fischio di rigore che fermi il gioco. Non per sempre ma, almeno, fino a quando, tra centoventi giorni, i cittadini saranno chiamati alle urne. Per dire, in modo chiaro e irrevocabile, come vogliono che sia il futuro di questa provincia.
- Giorgio Boatti